I NUMERI MENO (IL MANIFESTO)

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La crisi, ci diceva tempo fa il manager di una multinazionale, comincia dalle fotocopie. «Quando ti ordinano di utilizzare entrambe le facciate di un solo foglio, ci siamo». Da il manifesto a Le Monde, passando per la grande stampa americana, la corsa a perdere – copie, lettori, denaro, pubblicità – non risparmia più nessuno. Con la differenza che in tempi di catastrofica recessione, si salvano banche, si salvano gruppi automobilistici ma non i giornali.
Eppure, il salvataggio dei giornali è una questione di democrazia. Soprattutto in paesi come l’Italia, dove c’è un capo di governo che licenzierebbe volentieri tutti i direttori non suoi. E che prova nel contempo ad affossare la stampa libera cooperativa, tenendo stretti per sé (Mondadori) soltanto i contributi indiretti della legge sull’editoria, che sono poi la ciccia.
Il New York Times che ipoteca il suo palazzo nuovo di zecca firmato da Renzo Piano per fare fronte ai creditori è un segno dei tempi avvilente. La Tribune Company, colosso media-tico statunitense da 4 miliardi di ricavi all’anno con in pancia 12 quotidiani fra cui pezzi pregiati come il Chicago Tribune e il Los Angeles Times, 23 tv più altri media via cavo, web e radiofonici, ha chiesto ieri di accedere al Chapter 11, la legge sulla bancarotta che permette di operare nonostante il collasso finanziario. Le cose non vanno bene nemmeno in Inghilterra, raccontava in numeri meno il Financial Times, non va bene al Manifesto, non va bene alla grande stampa italiana. Va meglio per l’informazione via Intemet, ma non per la pubblicità, in discesa per tutti.
L’obiettivo non raggiunto (se perfino Murdoch l’invoca pubblicamente) è una redditizia integrazione tra carta e internet. Viene in mente uno studio del Wall Street Journal del 2005, che si apriva con due domande da brivido, o da palla di vetro: «Quanti soldi abbiamo perso con l’edizione on line? E quanti ne avremmo persi se non l’avessimo avuta?». Una risposta chiara non c’è. Una, parziale, la si può dedurre dal sito www.journalism.org, che monitora settimana per settimana la copertura dei fatti negli Stati uniti da parte dell’informazione nazionale. Tra l’1 e il 7 dicembre, l’argomento più in sui media Usa è stata la crisi finanziaria (27%), le nomine di Barack Obama (17%), il salvataggio dell’automobile di Detroit (14%) e poi gli attentati di Mumbai. Sui siti internet, stessa classifica con variazioni minime. Cambiano un po’ le cose in tv, con l’auto al primo posto e Mumbai al terzo, ma è evidente che i due temi sono più facilmente raccontabili per immagini del nuovo staff di Obama. Insomma: i giornali (il nostro per primo) si possono e si devono fare meglio e soprattutto diversi, nella speranza di catturare più acquirenti. Ma se i lettori preferiscono spostarsi da un media all’altro e basta – lezione dijoumalism.org- come la mettiamo? Aiuto davvero. E salviamo il salvabile, noi continueremo a provarci. (Dalla rassegna stampa ccestudio.it)

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