I GIORNALI? SOPRAVVIVERANNO (Il Denaro)

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In soli 25 anni gli sviluppi della tecnologia e soprattutto l’avvento di internet sembrano segnare la fine della stampa di quotidiani e periodici: l’industria nata con Guteberg sopravviverà?
Quella della carta stampata è un’industria che impiega nel mondo due milioni di persone. Così come con l’avvento della televisione la radio non è certo sparita ma ha modificato il proprio assetto informativo così è richiesta una metamorfosi adattativa alla carta stampata. Nella storia ogni volta che è giunto un nuovo strumento di informazione abbiamo sempre assistito alla sua aggiunta al precedente con ruoli diversi, mai a una morte definitiva.
Dopo il primo decennio di sperimentazione (1992-2002) il giornalismo on line è entrato nella fase matura…
Il vero problema non é la scomparsa della carta, ma la scomparsa di un certo tipo di giornalismo, inteso come servizio per la gente, che in molti, alcuni politici e molti editori) credono non sia più necessario. In realtà è proprio di questo che c’è bisogno, recuperare l’autentico spirito del giornalismo di servizio, e la qualità dell’informazione. La pubblicità è un corollario di tutto questo.
Internet però è un fenomeno assolutamente nuovo: non si può prescindere da questo strumento
Attribuire la crisi dei quotidiani ad eventi esterni, come l’avvento di Internet, dare la caccia all’omicida prima ancora che vi sia un morto, mi sembra piuttosto un alibi per giornalisti, editori, pronti tutti a scaricare sui nuovi media le responsabilità di una crisi che per la verità ha ragioni e cause molto diverse. La crisi dei giornali non è di oggi, ma precede ampiamente la scoperta di Internet.
Dove e quando nasce la crisi dunque?
Fino a qualche anno fa gli editori di tutto il mondo hanno sottovalutato la crisi, anche se le copie vendute calavano. Merito tutto della pubblicità che consentiva di mantenere alti gli introiti, anche se modificava la natura stessa dei giornali. I quotidiani, infatti, nati per vendere notizie si sono poi trasformati, un po’ alla volta, in strumento per vendere la pubblicità. Ed è stato solo con la crisi dei ricavi dei collaterali e della pubblicità che gli editori hanno cominciato a preoccuparsi del destino dei giornali di carta. Ed ora tutti scoprono Internet e l’editoria on line, che costa poco e può rendere molto. I giornali devono cambiare strategia: non inseguire più l’agenda dettata dai media più veloci come agenzie, Tv e internet, e riscoprire invece il gusto dell’analisi e soprattutto dell’approfondimento e della qualità.
Facciamo un passo indietro, la professione di giornalista è ancora necessaria?
La professione giornalistica comincia secondo gli storici nel Seicento, quando la stampa diventa periodica con l’esperienza della Gazzetta nel secolo dei lumi. Lo sviluppo dell’industria editoriale legata al mercato della notizia si registra nell’Ottocento, quando in America inventarono la penny press: abbassarono il costo del giornale e posero le basi del giornalismo moderno. Le entrate, fino ad allora garantite solo dalle vendite, puntarono soprattutto sullo sviluppo del mercato pubblicitario.
La tradizione giornalistica italiana, nata sulle ceneri del fascismo, sembrava solida, tutelata dalle leggi.
In Italia una parte considerevole dei giornali ancora in circolazione è nata in forme artigianali durante il Risorgimento e nei primi anni dell’Unita: la Nazione nel 1859, il Corsera nel 1876, il Mattino nel 1892. Il quotidiano partenopeo in quegli anni è diretto da Edoardo Scarfoglio con il proposito di farne un organismo del conservatorismo italiano attento al profilo culturale e per questo chiama a collaborare D’Annunzio e Matilde Serao, di cui rimangono famosi i ”mosconi”, gli scorci letterari della quotidianetà napoletana. All’origine dei quotidiani italiani c’è soprattutto l’interesse economico e finanziario e non certo l’impegno a formare ed informare una opinione pubblica che specie nel mezzogiorno è formata dall’ottanta per cento di analfabeti.
Si parla spesso di editori puri, che in Italia mancano. Un’altra delle ragioni della crisi?
In parte ciò è vero. In Italia l’impresa giornalistica dal 1860 (quando l’Italia diventa unita ndr) fino agli anni Ottanta del Novecento è per lo più nelle mani di alcune grandi famiglie che hanno un obiettivo diverso: prima guadagnare e poi non tanto informare e formare, quanto condizionare i lettori. Gli editori italiani intendono l’attività non tanto come un prodotto che produce utili, quanto uno strumento di pressione sul potere politico per fare affari in altri campi industriali: strade, auto, metallurgia, chimica. Ancora oggi le proprietà dei quotidiani italiani fanno riferimento soprattutto alle grandi aziende e banche. E’ il caso del Corriere della Sera, la cui proprietà è divisa tra Mediobanca (14 per cento), Fiat (10 per cento), Gruppo Pesenti (7,7 per cento), Della Valle (5,5 per cento), Pirelli (5,1 per cento), Gruppo Intesa (5 per cento).
In Italia si legge poco, al Sud ancora meno
Nel Novecento, soprattutto a partire dagli anni Trenta del novecento, le innovazioni tecnologiche tendono a consolidare il ruolo dei quotidiani che, dopo la parentesi oscura del ventennio fascista, conosce una stagione di intensa attività e di gratificazioni industriali, anche se continua a conservare una congenita e perdurante ristrettezza del mercato dei lettori che si mantiene su un numero che è un quarto rispetto a quello degli altri paesi sottosviluppati. Ma poco importa agli editori che utilizzano i giornali per fare pressioni e con solidare il proprio business fatto di costruzioni di strade, porti. Non si è investito sulla formazione della lettura.
Le nuove tecnologie come hanno modificato lo scenario?
Lo scenario cambia all’inizio degli anni Ottanta. Con la nascita della televisione commerciale che favorisce gli investimenti pubblicitari, gli editori scoprono un nuovo mondo e vi si tuffano dentro investendo in nuove tecnologie. E dal tentativo di catturare più lettori cambiano i contenuti delle pagine: si da più spazio alla cronaca, all’entertainment, alla salute e ambiente anche se lentamente affiora la crisi dell’editoria che esploderà più tardi con del World Wide Web.
Le tecniche di marketing sono valide?
Gli editori che hanno affrontato la crisi solo tagliando i costi e che scelgono come panacea una attività di marketing destinata a tenere alto in modo artificioso il numero di copie vendute non si salveranno. Anche se continueranno a moltiplicare i collaterali (libri, dischi, dvd, enciclopedie), i giornali panino (2 al prezzo di 1), le copie scontate ad alberghi ed associazioni.
Una cura possibile?
Fidelizzare il lettore, agire sulla leva delle relazioni, su quella della qualità dell’informazione, producendo notizie vere , quelle che rendono un giornale punto di riferimento evitando la deriva del lettore che in edicola finisce per scegliere la testata in base all’offerta collaterale. A nulla vale il tentativo di recuperare il tempo perduto attraverso la scelta di nuovi formati più consultabili, Invertire la tendenza modificando il carattere dei titoli e l’impaginazione è pura illusione.
La gente non ha più tempo per leggere e quando lo fa trova notizie già date dai telegionali. Come superare questo handicap.
Cercando e scovando notizie che non ha nessuno, interpretando la funzione di servizio in maniera puntuale e sistematica. Non è un caso che i giornali di nicchia e specialistici soffrono meno.
I free press: hanno un futuro?
L’idea di molti editori, che la freepress sarebbe diventata un traino, si è rivelata un’illusione. Anzi i gratuiti erodono quote di mercato dei quotidiani a pagamento.I gratuiti hanno già avuto il vantaggio della rottura definitiva del rapporto con il sistema retributivo, oneroso, e non sempre capillare, dovranno ora avere come obiettivo la conservazione della flessibilità. I giornali gratuiti hanno un grande merito: i sono riusciti a creare una forte interattività con i loro lettori, molto più dei quotidiani e sono riusciti a creare il modello di piccole redazioni molto flessibili e capaci di utilizzare un linguaggio ed un format grafico simile alle pagine di un sito Internet.
Parliamo di internet
Può essere paragonata all’invenzione della stampa da parte di Gutemberg.I mpressionante è soprattutto la velocità di diffusione di Internet. La Radio ha impiegato 38 anni per raggiungere i 50 milioni di ascoltatori, la Tv ne ha impiegati 13, ma il Web le ha superate in soli 4 anni. E’ chiaro che internet è oggi il luogo dove nasce e si diffonde l’informazione. I giornalisti sono avvisati. (Il Denaro)

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