I giornali non sono morti, ma devono voltare pagina

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Ha fatto discutere non poco – sulla rete e non solo – il consueto colonnino “Miti d’oggi” dell’antropologo Marino Niola per il Venerdì del 13 febbraio, dall’eloquente titolo: “E se qualcuno inventasse un asocial network?” giornali

Marino Niola giornali
L’antropologo Marino Niola ed il difficile momento per giornali e editoria

Partendo dall’addio di Andrew Sullivan al suo The Dish, il blog più famoso al mondo, e da un servizio dell’Economist di qualche mese fa sul tema “Facebook nuoce alla salute. Fatevi una vita”, Niola parla senza mezzi termini di sempre più diffuse, tra gli utenti, “crisi di rigetto da internet”. “Per disintossicarci dall’overdose in info, foto, post, avvisi, esternazioni, rumors cui bon grè mal grè siamo sempre più sottoposti, sono nate addirittura delle app, come Split e Cloak, che servono a far perdere le proprie tracce. A salvare – continua Niola – quel che resta della privacy. A sfuggire da quella geolocalizzazione costante che ha qualcosa di persecutorio. E che trasforma il villaggio globale in una trappola letale. Facendolo assomigliare sempre di più a quelle cittadine di provincia dove tutti sanno tutto di tutti”. Per questo, forse, occorre una terapia d’urto, con prescrizione di astinenza da Whatsapp, Skype, Facetime, chat e via internettando. Forse l’unico modo – commenta Niola – “per riconquistare uno spazio di libertà sottratto alla tirannia light delle community. E a quell’immane chiacchiera che tracima come un blob. C’è da sperare che qualche cervellone inventi al più presto l’asocial network”.
La conversazione con il professor Niola parte proprio dai social. E da un preciso ricordo. “Quando Giorgio Bocca commentava con Enrico Deaglio la pagina delle opinioni su Lotta Continua, quello che oggi potremmo chiamare un blog, ovvero l’anima dei social. E Bocca diceva a Deaglio: ma questi arrivano dal cottolengo!”.

E chissà cosa direbbe oggi Bocca su quella sua Mondadori che sta per diventare un colosso dal 40 per cento inglobando la Rizzoli. Un’operazione sulla quale Editoria.tv sta raccogliendo le opinioni di diversi editori piccoli e medi. Lei, Niola, cosa ne pensa? E soprattutto quali effetti può avere su un settore già in pesantissima crisi?
Penso che per l’editoria sia difficile ipotizzare uno scenario ancor peggiore di quello attuale. L’idea, comunque, non mi entusiasma. Un marchio glorioso e denso di storia come Rizzoli finirebbe per perdere ogni identità, per avviarsi a una non poi tanto lenta morte. Ci si avvierebbe ancora più speditamente al supermarket del libro, al discount editoriale, quantità senza qualità, pile e pile di libri, dei dieci best seller sfornati al mese che fanno letteralmente vomitare. E tutto ciò finisce per penalizzare in modo molto pesante la fascia dei lettori forti.

Cosa intende per lettori forti?
Quelli motivati, quelli che cercano ancora la qualità, i titoli caso mai poco noti, poco pubblicizzati perchè in questo mercato è sempre più difficile farsi conoscere…

Come sottolinea Claudio Magris, “è difficile comperare un libro che non si sa che esiste”…
Esatto. E la percentuale di lettori forti non è insignificante. Sono costretti ad orientarsi in una sorta di giugla-mercato affollata di 80 mila titoli nuovi ogni anno, e in cima quei best seller da far girar lo stomaco. Ma hanno voglia di leggere cose diverse, hanno meno soldi da spendere, quindi cercano di fare acquisti intelligenti. Perciò, oggi, il lettore motivato abbandona il mega store, e cerca di nuovo la libreria, dove chi ti ascolta non è un commesso, spesso poco garbato e di sicuro a digiuno di libri, ma un esperto, un libraio. Oppure acquista in rete, fenomeno sempre più frequente.

Può essere un segnale positivo per le librerie, la spia di una speranza nuova per una ripresa?
Forse sì, e c’è qualche indicazione positiva. Noto soprattutto nelle città di piccole e medie dimensioni, una certa ripresa del settore. Alcune librerie che dopo anni di crisi riprendono fiato, oppure nuove iniziative che cercano, pur se a fatica, di farsi spazio. Per rispondere ad una domanda di cultura che c’è e non può morire.

Parliamo di libri. Secondo alcune recenti ricerche di università statunitensi ed anche europee, i libri tradizionali resistono e contrattaccano, la gran parte dei ‘nativi digitali’ li preferiscono di gran lunga agli e book. Per la serie, carta batte tablet…
Questi risultati non mi stupiscono. Anche negli anni scorsi, quando molti davano per morto il libro cartaceo, io non ne ero per niente convinto. Si tratta di superfici e spazi di lettura diversi, ma che possono tranquillamente coesistere. Diversi approcci, diverse modalità di lettura sono coniugabili per una stessa persona e lungo l’arco di una giornata. Se sono tranquillo e devo approfondire, leggo il cartaceo, che mi consente di segnare, sottolineare, memorizzare in un certo modo. In altre condizioni posso servirmi del tablet. E’ ormai evidente, poi, una tendenza, che riguarda le diverse anime della comunicazione: il mondo delle news, delle notizie viaggia via internet, l’approfondimento resta ancora cartaceo, via libri o giornali.

Eccoci allora al futuro di quotidiani, settimanali, periodici, tutto quanto fa carta e sembra sempre più in via d’estinzione. Qual è il suo parere?
Esiste e, almeno per ora, non può morire lo spazio per i mezzi cartacei. Il vero problema che ha di fronte, oggi, la stampa tradizionale, non riguarda solo i costi, una vera legge sull’editoria e via di questo passo. Il nodo reale è che manca una reale diversificazione dell’offerta, che ancora non esiste. I giornale devono cambiare, devono letteralmente girare pagina non perchè non vi sia più un futuro, ma perchè ne esiste uno diverso, tutto da progettare. Ma da cominciare ad attuare fin da subito. Da domani.

E su quali presupposti si basa, questa nuova rotta della comunicazione?
Un quotidiano, pur autorevole, non può più dedicarsi, o dedicare il maggior spazio, alle notizie, alla cronaca, vuoi politica, economica o giudiziaria. Su questo terreno viene strabattuto dal web, perchè quelle velocità di comunicazioni non sono contrastabili. Quindi, resta uno spazio, un grande spazio, per i commenti, le opinioni, gli approfondimenti. Restano praterie per un giornalismo un tempo forte e man mano dimenticato, il giornalismo d’inchiesta. Le notizie sono la base e questo ormai è un terreno che viaggia velocissimo, in rete. Ma dietro e dentro le notizie c’è tutto un mondo da scoprire, da disvelare, da conoscere e far conoscere: perchè il significato delle notizie è sempre taciuto.

In concreto, come pensa debba ristrutturarsi un quotidiano tradizionale, quale il lifting da consigliare?
Un giornale meno generalista, meno omnibus, meno pagine, da modulare in modo differente anche in base ai giorni della settimana. Tenendo sempre presente che lo scopo base è l’approfondimento, e che per farlo ho bisogno di un po’ di tempo, una foliazione caso mai maggiore quando sai che il giorno dopo hai più tempo, ad esempio in vista del fine settimana. Un prodotto da studiare con grande attenzione e soprattutto cercando di individuare e intercettare la domanda dei lettori.

Un ultimo passaggio alla televisione. In che salute la trova, stretta fra stampa e web?
E’ in serio affanno, come il mondo della carta stampata. Ma anche qui, non perchè manchi un futuro, ma perchè non c’è ancora risposta ad una domanda diversa dei fruitori, dei cittadini. C’è, oggi, una diversa capacità contrattuale del consumatore, che cerca prodotti ben precisi e alla cui domanda occorre rispondere; un consumatore che interagisce, vuole interagire sempre di più. Quel che sta succedendo tra Sky e Mediaset è emblematico, così come è significativa la contrazione degli utenti Sky fatta segnare, a quanto pare, negli ultimi tempi e pari a circa il 15 per cento, anche colpa di un cine-pacchetto a dir poco vergognoso.

La terapia per mamma Rai, anche in vista della cura Renzi?
Meno generalista, meno omnibus, lo stesso discorso che vale per la carta stampata. Quindi più dedita ai settori, ai segmenti, a degli specifici da coltivare proprio per rispondere a quei bisogni cui accennavo prima. Ma con un’attenzione in più: ad esempio la fascia di pubblico anziano, che non può abbandonare una tivvù generalista, una sorta di badante o sitter, anche se non baby.

Una mucca senza ticket, come osserva qualcuno, la tivvù generalista di casa nostra. Potrà cambiare qualcosa con i bulldozer di Renzi in arrivo?
Ci sono aspetti positivi e meno nella riforma di cui si parla. Ancora presto per un giudizio definitivo. Ma dobbiamo renderci conto che non siamo più l’Italia dell’intrattenimento domenicale. E neanche dei talk show. C’è bisogno di ben altro.

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