I recenti provvedimenti del Governo e le dichiarazioni del sottosegretario Malinconico in relazione all’editoria ed al relativo sistema di sostegno sono sicuramente frutto dell’attuale situazione politica ed economica del Paese. Nel decreto legge recentemente varato sul quale il Governo ha chiesto la fiducia, c’è una norma che delega al Governo l’emanazione di un Regolamento per indicare come ripartire le scarse risorse destinate all’editoria e più precisamente al pluralismo. Ribadiamo, come sempre, che questo argomento non dovrebbe essere mai, ma davvero mai, delegato agli esecutivi. Le ragioni sono banali, basta leggere la Costituzione. Ma niente di nuovo, perché sia il precedente Governo, con il sottosegretario Bonaiuti, che quello ancora precedente, con il sottosegretario Levi, avevano ragionato e agito nel medesimo modo. L’elemento nuovo è che per la prima volta si stabilisce una data certa e non retroattiva dalla quale il sistema di sostegno cambierà. Si dà modo così alle imprese di avviare i piani di ristrutturazione, o meglio di chiudere, ma in ragione di quanto accadrà – e degli indirizzi di politica economico/editoriale che verrà decisa – e non di quanto è già accaduto. Questo non è solo un importante elemento di serietà dell’attuale Governo, ma anche la dimostrazione di una consapevolezza dei rapporti che le aziende editoriali devono avere con gli istituti di credito, che sulla serietà dei Governi fanno (e danno) affidamento.
Per quanto concerne gli esercizi 2011, 2012 e 2013 è vero quanto riportato dal sottosegretario Malinconico nel corso della recente audizione alla Camera, ossia che l’insufficienza dei fondi necessari a garantire il fabbisogno è dovuta ai tagli, molto più che lineari, effettuati sul settore dal precedente Governo. Sempre utilizzando come strumento il decreto legge, su cui è stata posta la questione di fiducia. Ma in realtà ciò che sembra doveroso segnalare, per l’ennesima volta, è che gran parte dei ragionamenti vengono svolti sulla base di affermazioni che denotano una scarsa o parziale conoscenza della realtà: lo si evince, ad esempio, riascoltando la medesima audizione, durante la quale il Sottosegretario Malinconico ha affermato che gran parte dell’editoria non è assistita; anzi, più precisamente, che i soggetti che percepiscono i contributi diretti sono pari a circa il 10 per cento degli operatori del settore.
In relazione ai quotidiani, che rappresentano sicuramente uno dei punti nevralgici del sistema, la situazione appare ben diversa. Infatti, dalle tabelle pubbliche della Presidenza del Consiglio dei Ministri, emerge che i quotidiani che hanno chiesto l’accesso ai contributi per il 2010 sono 78. I quotidiani in Italia (Relazione dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni 2010, pagg. 424 e ss.) sono 188. Di questi, il dato è soggetto a qualche margine di errore, in quanto da qualche anno l’Autorità per ragioni misteriose non pubblica più gli assetti delle società editrici di quotidiani, 81 sono editi da società che fanno capo ad 11 gruppi editoriali. Quindi le società editrici di quotidiani sono all’incirca 118. Di queste 78 percepiscono e vivono grazie all’attuale sistema di sostegno. Ben più del dieci per cento, sembra. A meno che quel dieci per cento non venga riferito agli associati Fieg che percepiscono i contributi. In questo caso il conto tornerebbe.
Ma ancora in un’intervista di qualche giorno fa il sottosegretario Malinconico ha dichiarato “basta con i contributi a pioggia”. Ma l’attuale sistema di intervento diretto, per quanto discutibile e sicuramente da modificare, non è a pioggia, in quanto è selettivo, basato su criteri soggettivi ed oggettivi. Mentre, invece, il credito d’imposta, per quanto lo si possa molto elegantemente chiamare “misura di sostegno rivolto a contenere l’incremento del costo delle materie prime”, è sicuramente un contributo a pioggia – che avvantaggia di più chi più materie prime consuma, ovvero i grandi editori. Non entro nel merito del provvedimento e della sua efficacia, ma, semplicemente, ritengo necessario chiamare le cose con il proprio nome.
Ed infine, qualche considerazione sull’affermazione che i giornali che vendono di meno andranno su Internet per garantire l’occupazione. Oggi i ricavi su Internet per la gran parte delle imprese editrici sono pari a circa il 2 per cento dei ricavi derivanti da vendite di copie e pubblicità. Nonostante gli ingenti investimenti fatti per diversificare le piattaforme distributive. Internet è una realtà, ma non è la panacea di tutti i mali, in quanto non esiste ancora un modello consolidato (se si volesse entrare nel merito si dovrebbe dire che la grande editoria – sì, ancora – non è stata capace di organizzare un sistema di business progressivo). E, sicuramente, il passaggio in esclusiva a questa piattaforma determinerebbe la fuoriuscita di circa il 95 per cento dei dipendenti assunti.
Ultima, ma non da ultima, c’è la questione dell’Iva. La funzione dell’informazione e dei giornali hanno determinato il legislatore ad accordare alle imprese editrici di giornali un’aliquota agevolata del quattro per cento. La stessa prevista per i beni di primissima necessità, come il pane. E l’imponibile viene abbattuto in maniera forfettaria dell’ottanta per cento. E’ una misura condivisibile se si ragiona nell’ambito di un sistema che va, comunque, tutelato. Ma è un’agevolazione molto importante che, determinando minori entrate per lo Stato in misura infinitamente superiore alla spesa sostenuta per i contributi diretti, non può essere sottaciuta se si parla di un’altra editoria non assistita.
In realtà. parlando di questo settore si continuano a sovrapporre slogan populisti, vuoto di analisi e di conoscenza delle realtà e della realtà sulla quale si è chiamati ad intervenire. Ma, ancora, ed è la cosa più grave, emerge con chiarezza come nessun partito, oltre a partecipare al coro di slogan, in nome una volta della moralizzazione ed un’altra della salvaguardia del pluralismo, abbia mai presentato in Parlamento un testo vero di riforma del settore. L’auspicio è che, abbandonando il populismo e la demagogia che hanno caratterizzato gli ultimi governi e, in assenza di iniziative parlamentari, il sottosegretario Malinconico privilegi l’alto contenuto tecnico che il contesto richiede. Per far ciò è necessario avviare in tempi strettissimi un processo di reale conoscenza della realtà che si intende riformare, senza preconcetti e liberi da influenze esterne.
Enzo Ghionni
(Presidente della Federazione Italiana Liberi Editori)