FONDI PER L’EDITORIA A PASSO DI GAMBERO

0
717

La legislazione dell’editoria sembra segnata da una maledizione. Non è mai possibile fare un passo avanti, senza che ne conseguano due indietro. Così accade anche oggi. La Camera dei deputati aveva deciso una moratoria di due anni sul «diritto soggettivo» ai contributi diretti all’editoria nel varo del Disegno di legge sulle attività produttive (1441-ter, oggi Ddl 1195, in discussione al Senato), stabilendo che la sua cancellazione sarebbe entrata in vigore «a decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso all’entrata in vigore del Regolamento» (che sarà il 2009) e aveva prescritto che il Regolamento – che fissa i nuovi criteri di erogazione dei contributi – entrasse in vigore solo dopo aver ottenuto «il parere vincolante delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario» dei due rami del Parlamento.
Ma, a distanza di pochi giorni – in occasione della discussione della Finanziaria alla Camera – pur in presenza di 8 emendamenti di 88 deputati tra maggioranza e opposizione, che chiedevano di mettere fine alla carneficina dei tagli ai contributi editoria e di rifinanziarne il fondo per 143 milioni per il 2009 e il 2010 (indicando coperture legittime), il governo ha deciso di far ritirare tutti gli emendamenti della maggioranza e di bocciare tutti quelli dell’opposizione. Si mantiene così un\’assurda situazione di precarietà, che rende impervio l’impegno per ripristinare stabilmente il «diritto soggettivo» ai contributi diretti.
Ma non basta. Nella sua audizione del 19 novembre alla Commissione cultura della Camera sul nuovo Regolamento, il sottosegretario Bonaiuti ha dichiarato che la moratoria riguarda solo i contributi 2008 («L’operatività delle norme è stata portata al 1 gennaio 2010, contributo 2009»), oltre a sostenere di voler cancellare al Senato il «parere vincolante» delle Commissioni sul Regolamento, e che il governo avrebbe proposto al Senato di abrogare la norma che escludeva dai contributi indiretti tutte le testate di società che non avessero in Statuto la non distribuzione di utili (si tratterebbe di un risparmio enorme, anche con le nuove regole stabilite in Regolamento per il pagamento a Poste italiane Spa).
Insomma, di nuovo un bel pasticcio, senza capo ne coda. Che risulta ancora più grande, perché solo ieri è stato deciso di rinviare al 2013 l’entrata in vigore della Legge Brunetta, che spostava in Internet la pubblicità legale degli enti pubblici. Per essere chiari, ai grandi editori si dilaziona di cinque anni (e ci pare positivo) una norma che li danneggia fortemente, ai giornali non profit e di partito si vorrebbe fare una proroga di un solo anno della conservazione dei «contributi diretti», per giunta forzando una norma che fissa una moratoria di due anni.
È un paradosso inaccettabile.
Ora, al Senato, bisogna correggere questa impostazione del governo: a) stanziando in Finanziaria le nuove risorse necessarie per garantire il Fondo editoria (che lo stesso sottosegretario Bonaiuti, irresponsabilmente, sottostima), b) mantenendo l’esclusione dai contributi indiretti almeno delle società quotate in Borsa o fissando un tetto per questi, c) conservando il parere vincolante delle Commissioni parlamentari sul Regolamento.
Il Regolamento, che è già cambiato nella versione presentata alla Camera il 19 novembre, tende a peggiorare e a lasciarsi alle spalle le sue pretese di rigore. Nella nuova versione, infatti, i giornali di partito vengono sottratti del tutto alla nuova disciplina. Per loro valgono le copie «tirate» in tipografia, anziché quelle distribuite in edicola o vendute agli abbonati; questi continuano a non avere nessun obbligo di rapporto percentuale tra copie distribuite e vendute (nemmeno il «misero» 15 per cento definito in Regolamento). Ci sembra un po’ una inutile vergogna.
Ci sono i giornali di partito «falsi», come i giornali cooperativi «falsi». E solo a questi giornali di poche pagine e di nessuna diffusione conviene stampare copie solo al fine di ottenere oltre 300.000 euro per ogni 10.000 copie stampate. Nè Liberazione, nè La Padania. Né L’Unità, nè II Secolo, nè Europa – che sono giornali veri e hanno una vera distribuzione nazionale, anche se per alcuni è modesta – hanno bisogno di questi miseri trucchi. Se per i giornali di partito occorre prevedere un indice più basso nel rapporto tra distribuzione e vendite (previsto al 15 per cento nel nuovo Regolamento), per ragioni di «rappresentanza», lo si chieda esplicitamente. Ma non si facciano queste schifezze, altrimenti verrà il sospetto di un «baratto» tra la conservazione «stabile» del «diritto soggettivo», a cui si è rinunciato, e un regime speciale per i giornali di partito, che non conviene a nessuno, nemmeno a questi. Perché, se decade strutturalmente il «diritto soggettivo», anche molti giornali di partito sono condannati a morte.
Nella stessa nuova Bozza del Regolamento, si prevede di portare a 50 milioni anche le copie indennizzabili per i periodici. Una proposta senza alcuna logica – nessun periodico ammesso a contributi ha più di un 1,5 milioni di copie – se non in vista di «un periodico, che verrà», una di quelle norme ad personam, di cui è purtroppo costellata la legislazione dell’editoria.
Infine, dulcis in fundo, nell’audizione alla Commissione cultura alla Camera del 19 novembre 2008, il sottosegretario Bonaiuti ha dichiarato che veniva messo un tetto di 4 milioni sia per i contributi diretti che per gli indiretti (destinati, anche, ai grandi gruppi): cosa totalmente priva di fondamento, se si guarda il Regolamento, che contestualmente presentava. Ma nella successiva audizione del 26 novembre del 2008 ha sostenuto – su sollecitazione dell’ineffabile onorevole Farina, ex vicedirettore di Libero -, che il governo ritiene di elevare o di abrogare il tetto di 4 milioni di contributi, anche per i diretti.
Ma, allora, di che stiamo parlando? Si cancella, nel Regolamento, il vincolo che i contributi diretti sono destinati ai quotidiani, che hanno una pubblicità inferiore al 30 per cento dei costi. Si fissa un obbligo ridicolo di occupazione (5 dipendenti giornalisti o poligrafici) per un quotidiano che ottiene due milioni di aiuti di Stato. Non si tocca in nulla la disciplina dei contributi ai giornali di partito. Si propone, infine, di incrementare o di abrogare qualsiasi tetto per i contributi diretti e indiretti. Si annuncia l’intenzione di voler cancellare al Senato la norma, stabilita dalla Camera, che esclude dai contributi indiretti (postali, telefonici ed altri) le società con fini di lucro.
Insomma, sbiadiscono le tracce di rigore, si mantengono le protezioni ai giornali amici e si finisce con il tenere nell\’insicurezza e nel marasma la vera «editoria pura». Vediamo di fermarci un momento: di ripristinare risorse adeguate e di utilizzare una moratoria, che è e deve restare di due anni, per fare una riforma virtuosa, sottraendo il governo alla pressione asfissiante delle sue clientele. (Il Manifesto – Dalla Rassegna Stampa ccestudio.it)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome