Facebook e i Like taroccati. In USA pronta class action

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Diffamazione privacy libertà di espressioneSpesso non ce ne rendiamo conto, ma le nostre preferenze sui social network sono oro colato per la pubblicità. In particolare su Facebook, così come accade da ottobre anche su Google+: quando clicchiamo Mi piace sul profilo relativo a un marchio, un prodotto, un personaggio o qualsiasi altro soggetto che abbia aperto una cosiddetta “pagina fan” di fatto stiamo cedendo quel clic, e con esso il nostro nome e la nostra immagine, al social network. Da quel momento le nostre interazioni con quella pagina (commenti e condivisioni, per esempio) vengono sfruttate nelle inserzioni pubblicitarie, associate appunto al marchio da promuovere.
Dalle cosiddette Notizie sponsorizzate, che fanno irruzione nella bacheca, agli annunci veri e propri collocati in posizioni laterali, i nostri amici e noi stessi siamo continuamente parte di un puzzle di incroci per cui se risultiamo fra gli estimatori virtuali di quel famoso brand sportivo potremmo comparire sotto al suo logo o sotto alla foto dell’ultimo modello di scarpe da corsa come poco consapevoli testimonial. Facebook rischia di finire di nuovo nei guai proprio a causa di questo meccanismo, fondamentale per i suoi bilanci. La piattaforma di Mark Zuckerberg è stata infatti citata in giudizio da un utente del Colorado, Anthony Ditirro, al tribunale di San Jose, in California: il suo nome sarebbe apparso in molte di queste  sponsorizzazioni del social network. Con un piccolo, inquietante particolare: Ditirro, che lo ha scoperto grazie a un amico, non avrebbe mai cliccato Like sulle pagine in questione. Insomma, si tratterebbe di annunci di fatto taroccati, con marchi associati a nomi di utenti che in realtà non figurano fra i fan dei profili in questione. Il caso ruota in particolare intorno alla pagina del popolarissimo quotidiano USA Today: l’utente, che invoca lo status di class action per la causa intentata e chiede 750 dollari per tutti quelli che possano provare un tale sistema ai propri danni, sostiene infatti di non aver mai cliccato Mi piace sulla pagina del tabloid. Dunque ritiene che il suo profilo sia stato manipolato, collegandolo a forza fra i fan di quel profilo.
Si tratta dell’ennesima grana per Menlo Park dopo le accuse di appena qualche giorno fa legate alla privacy: un’altra class action, stavolta mossa da due utenti dell’Arizona e dell’Oregon, nella quale si accusa il social di spiare le conversazioni private degli iscritti monitorando in particolare i link che questi si scambiano fra loro (per esempio quando ci si invia il collegamento esterno a un articolo, a un video o a una fotogallery). Obiettivo? Profilarli meglio e architettare inserzioni più redditizie per chi acquista pubblicità. Inoltre, l’estate scorsa Facebook ha pagato 20 milioni di dollari per risolvere un’altra causa collettiva legata al programma Sponsored Stories, proprio le Notizie sponsorizzate che vengono generate e pubblicate sulle bacheche degli amici quando un altro interagisce con una pagina, un’applicazione o un evento. In quel caso, però, non si parlava di Like fantasma, ma di utenti che non avevano autorizzato l’uso di nomi e foto negli annunci.
Non basta. La causa sui Like inesistenti usati nella pubblicità arriva proprio in una fase di rinnovamento per le strategie di Facebook in questo settore determinante. Il gruppo ha infatti annunciato che da aprile pensionerà le Notizie sponsorizzate mettendo però ancora di più l’accento sul contesto sociale delle inserzioni, senza per ora tradurre in soluzioni pubblicitarie concrete questa risoluzione. In molti sospettano che si tratti in realtà di un cambiamento molto di forma e poco di sostanza. D’altronde, secondo una recente ammissione dello stesso social in un documento intitolato Generating business results on
Facebook
, i contenuti prodotti dai singoli marchi non serviranno a molto in futuro. Cosa c’è scritto dentro quell’analisi? Un’amara sorpresa, per chi contava sulle migliaia di amici accumulati negli anni per sostenere i propri affari e diffondere sempre di più il proprio marchio. Secondo Menlo Park chi amministra le pagine fan di questo tipo, per quanto possano essere eclatanti i contenuti che mette in circolazione, dovrà prendere sempre di più in considerazione l’idea di ricorrere alla distribuzione pagata “per massimizzare la prestazione del messaggio all’interno del news feed”. Algoritmi modificati, insomma, per fare in modo che foto, video e post prodotti dai brand circolino meno e costringano gli amministratori a ricorrere ad inserzioni e annunci. Anche quelli in cui sembra poter precipitare chi si tiene a debita distanza dalle pagine fan.

Fonte:

http://www.repubblica.it/tecnologia/2014/01/18/news/privacy_per_facebook_scatta_la_guerra_del_like_taroccato_mai_cliccato_mi_piace_eppure_compaio_nelle_pubblicit-76019301/

 

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