Esplode il caso Paragon: molto più che un “pasticcio”

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Un caso senza Paragon. La tentazione sarebbe quella di bollarlo come un pasticcio ma il caso dei giornalisti spiati rischia di essere ben altro. I fatti sono noti. Alcuni cronisti, tra cui il direttore di FanPage Francesco Cancellato, hanno scoperto che i loro smartphone erano sotto controllo. Non si sa da chi né perché. Il “contagio” sarebbe avvenuto, stando alle prime ricostruzioni, grazie a un file pdf diffuso tramite alcune chat di Whatsapp. Ed era stata proprio Meta ad avvertire i diretti interessati: c’è qualcuno che sta ficcando il naso nelle vostre cose. Il caso ci ha messo davvero poco a diventare politico dal momento che, tra gli altri, era finito intercettato anche Luca Casarini, fondatore dell’Ong Mediterranea. Che ha annunciato la volontà di presentare un esposto e ha denunciato che lo stesso Casarini sarebbe stato spiato “con un software militare”. Sarebbero stati spiati grazie a Graphite, un raffinato e particolare spyware di produzione israeliana, che rientrerebbe nel novero dei prodotti offerti al mercato dall’azienda Paragon. Impresa, quella israeliana, che non appena il fatto è diventato tra i temi di attualità politica s’è premurata di far sapere di aver chiuso ogni contatto e possibilità di utilizzo con l’Italia. Ogni contratto è stato rescisso. E lo ha fatto per il tramite del Guardian, quotidiano inglese più che famoso e autorevole, e di Haaretz, uno dei giornali più influenti di Israele. Il fattaccio, non un pasticcio, resta.

Perché il tema è centrale. I giornalisti vengono spiati. Cancellato, in un lungo articolo apparso proprio su Fanpage, pone sei domande al governo. Si chiede se il governo fosse “cliente” di Paragon, se e chi sia finito sotto la lente di Graphite e, infine, “se davvero l’Italia non c’entra nulla, quali iniziative intende prendere il governo italiano per tutelare i propri concittadini da questo genere di azioni?”.

Le tutele sono sempre più precarie. Il digitale resta una sorta di far west. Dove ognuno può mettersi a collezionare dati che diventano merce. Nel migliore dei casi. Dossieraggi nel peggiore. Però c’è tutta una legislazione che, ai giornalisti (e chiaramente non soltanto a loro) garantirebbe tutele di riservatezza. Le domande che sorgono sono parecchie. Chi spiava, per conto di chi, per quali ragioni? Le risposte, prima o poi, arriveranno. Epperò si tratta solo dell’ultimo caso di un Paese, l’Italia, in cui troppe persone spiano gli altri. Un vaso di Pandora che solo a fatica non erutta. Ma che prima o poi lo farà.

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