Ecco dove finiscono i contributi pubblici per la libertà di stampa

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lavoceFra pochi giorni la compaesana di Antonio Di Pietro Annita Zinni, facoltosa proprietaria di appartamenti e terreni, si vedrà arrivare sul conto corrente personale oltre ventimila euro di denaro pubblico versato con le tasse dai cittadini italiani per preservare il pluralismo nell’informazione e la libertà di stampa. Succede solo in Italia, dove una legge sulla diffamazione indegna di qualsiasi paese democratico permette a un giudice civile di primo grado di spegnere di colpo la vita dei giornali, assegnando somme spropositate per presunti danni da diffamazione secondo il suo personale arbitrio (o quello di chi gli ha fortemente raccomandato il caso).

La sentenza del giudice di Sulmona Massimo Marasca a favore di Annita Zinni ha provocato un bombardamento di pignoramenti ai danni di “Comunica”, piccola cooperativa autogestita di giornalisti anticamorra oggi ridotti allo stremo da questa vicenda e costretti, fin da marzo 2014, a interrompere dopo trent’anni l’uscita in edicola de La Voce delle Voci, storica testata che nel 2007 era stata insignita al Quirinale col Premio Saint Vincent per il giornalismo d’inchiesta.

Il 3 marzo scorso la mazzata finale. Il giudice delle esecuzioni mobiliari del Tribunale di Roma Francesca Girone ha accolto la richiesta presentata da Sergio Russo, avvocato del tandem Zinni-Di Pietro, ed ha assegnato alla Zinni 21mila euro di fondi pubblici pignorati presso il Dipartimento Editoria della Presidenza del consiglio, dove erano destinati al mensile d’inchiesta La Voce delle Voci, che dal 2009 li riceveva sulla base della legge 250/90 a salvaguardia dell’informazione indipendente dai partiti politici e dai grossi gruppi industriali. Il giudice Girone ha contestualmente respinto l’opposizione presentata dal difensore della Voce, avvocato Michele Bonetti, basata sul presupposto che quei fondi pubblici non sono di proprietà della cooperativa editrice bensì dei cittadini italiani, che li versano allo Stato per garantire un bene comune prezioso, il diritto ad essere informati oltre le veline dei Palazzi. Invece da domani le somme spettanti alla Voce dovranno essere versate sui conti correnti della signora Zinni da Montenero di Bisaccia, proprietaria fra l’altro di un appartamento a Roma in via Merulana, dove possiede immobili anche Di Pietro.

Dorme sonni tranquillissimi a Civitavecchia (dove si è ora trasferito) anche il giudice Marasca, indagato dalla Procura di Campobasso, competente su Sulmona, per abuso d’ufficio ed omissione di atti d’ufficio. Oltre ad aver assegnato a Zinni l’abnorme risarcimento danni da circa 100mila euro per poche righe in di un articolo su Idv pubblicato nel 2008 sulla Voce dal giornalista Rai Alberico Giostra, Marasca aveva ammesso in aula come teste a favore della Zinni il sostituto procuratore di Sulmona Aura Scarsella, amica della signora ma, soprattutto, il pm con cui lui stesso lavorava quotidianamente in veste di gip. Dopo il trasferimento ad altra sede del primo titolare delle indagini alla Procura di Campobasso, il pm Francesco Santosuosso, il fascicolo su Marasca, che vede come parti offese i giornalisti della Voce, era passato al pubblico ministero Barbara Lombardi, che qualche settimana fa ha chiesto l’archiviazione al gip di Campobasso.

«Contro la Voce delle Voci – dichiara il direttore Andrea Cinquegrani – è stato commesso da Antonio Di Pietro un atto di killeraggio in piena regola. A marzo 2007 la Voce era stato il primo ed unico giornale a portare alla luce le questioni delle compravendite immobiliari dell’ex pm, le stesse che qualche anno dopo, riprese da Report in un programma diffuso al grande pubblico, avrebbero determinato la fine di Italia dei Valori. Di Pietro non ha potuto vendicarsi contro il gigante Rai, ma ha fatto chiudere la Voce».

«Una vicenda giudiziaria allucinante – fa eco il condirettore della Voce Rita Pennarola – ma anche un precedente gravissimo per la stampa italiana. Sentenze come questa segnano la fine del giornalismo. Ormai sono storia quotidiana le cosiddette “tentate estorsioni a mezzo stampa, paga prima o ti sparo una citazione milionaria”, rese possibili dall’effetto intimidatorio di una giustizia, quale quella italiana, che di civile non ha più nulla. Dobbiamo ringraziare anche gente come Antonio Di Pietro o come il giudice Marasca se l’Italia è precipitata in fondo alla classifica di Reporter sans Frontieres. Altro che responsabilità civile dei magistrati».

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