Diritto d’autore. Nascono in Europa i filtri anti pirateria

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Diffamazione, privacy e diritto all'oblio e gestione dati. Cercasi equilibrio

Tre Stati dotati di impianti legislativi distinti (Dea, Irish Sopa, Legge Sinde) ma con un obiettivo in comune: controllare i netizen ed imporre loro il rispetto del diritto d’autore con l’aiuto “coatto” degli internet provider.
Le ultime in materia di copyright enforcement giungono proprio dalla Terra d’Albione. Dopo due anni di battaglie legali contro il discusso testo di legge antipirateria informatica, Digital Economy Act, i due Isp inglesi, Brithish Telecom e TalkTalk, si sono visti bocciare ieri da tre giudici della Corte di Appello la richiesta di revisione della norma imparentata con la dottrina Sarkozy. La Legge DEA secondo la pronuncia dei giudici, risulterebbe conforme alle direttive comunitarie in materia di commercio elettronico, protezione dei dati e privacy, rendendo per questo nulle le ragioni dei ricorrenti. La contestazione mossa dai due provider di rete si rivolgeva contro le modalità di applicazione della cd. “cura Mandelson” (dal nome del Lord che ha introdotto il progetto di legge in data 8 aprile 2010), ovvero quel complesso di norme che attribuisce ai detentori dei diritti, dietro il mandato di un tribunale, il potere di ottenere dai fornitori di accesso ad internet (Isp) una lista anonima degli indirizzi IP degli abbonati, per effettuare il riscontro di un’attività di download illegale di opere protette, anche mediante reti peer-to-peer. Gli ISP verrebbero così costretti al tracciamento e alla verifica delle azioni illegali in corso, che una volta confermate, darebbero il via ad una serie di avvisi ai trasgressori ed, entro un anno, all’innesco di misure tecniche volte a limitare la qualità o interrompere del tutto la connessione agli utenti. Ma il recente giudizio emesso dalla Corte d’appello inglese va persino oltre. Agli Internet Provider si imporrebbe da ora un obbligo di copertura pari al 25% dei costi operativi sostenuti per l’intervento di enforcement, scandito via via dagli standard previsti dall’Authority britannica, Ofcom, e volti ad inibire gli illeciti sulla Rete identificandone in maniera puntuale gli artefici. Una sconfitta doppia quella subita da Brithish Telecom e TalkTalk che si dicono però già pronti ad un possibile ricorso alla Corte di Giustizia Europea. Quella stessa Alta Corte che già in due occasioni (Sabam vs. Scarlet e Sabam Vs. Netlog) si era pronunciata a sfavore dei filtri antipirateria imposti dai giudici nazionali ai fornitori di hosting, facendo leva sull’incompatibilità di un simile obbligo di sorveglianza generalizzata sia con l’art.3 della direttiva europea 2004/48/CE, che contempla misure di intervento a difesa dei diritti d’autore online, che siano “eque, proporzionate e non eccessivamente onerose”, sia con la direttiva del commercio elettronico (2000/31/CE) che indica come inammissibile il monitoraggio delle comunicazioni private dei propri clienti da parte dei rispettivi fornitori di accesso ad internet. Eppure nonostante la svolta epocale inaugurata dalle valutazioni della Corte di Giustizia Ue, i venti della repressione per il copyrighrt infringement non accennano a diminuire, giungendo anzi a soffiar forte anche nella vicina terra d’Irlanda dove le Autorità di Dublino hanno da poco ufficializzato l’implementazione della “European Union Copyright and Related Rights Regulation 2012”, con la ratifica di un provvedimento di legge battezzato dai critici come “Irish Sopa”. L’affinità con il famigerato testo statunitense “Stop online privacy act” per ora in fase di standby negli Usa, sembra risiedere proprio nella prassi di rimozione dei contenuti illeciti su internet rimessa, anche stavolta, alla discrezionalità dei detentori dei diritti d’autore i quali, muniti dell’apposito mandato di un giudice, potranno di fatto obbligare gli ISP a bloccare a mezzo DNS (il sistema dei nomi a dominio) le piattaforme web sospettate di infrangere il copyright su internet. Il provvedimento firmato dal Ministro della Ricerca ed Innovazione, Sean Sharlock, intende proporsi quale legge fondamentale a tutela del business e dell’innovazione, oltre ad essere uno strumento legale atto a garantire la conformità degli obblighi nazionali nell’ambito della legislazione europea. Con tutti i rischi certo derivanti da una potenziale interruzione del normale funzionamento di quei portali indirettamente collegati alle piattaforme incriminate. Una prassi, quella dell’inibizione mediante gli Isp ed il sistema dei nomi a dominio dei siti online sospettati di copyright infringement, che è culminata in una formulazione di legge anche in un altro Stato Membro dell’Unione, la Spagna. Si tratta della Legge Sinde, presentata nel febbraio 2011 ed entrata in vigore solo pochi giorni fa nel Paese, suscitando non poche polemiche. Un impianto normativo in grado di dotare il Comitato per la Proprietà intellettuale iberico della piena autorità di intervento in materia di prevenzione ed inibizione degli illeciti su internet. Lo schema è sempre lo stesso. Dietro la segnalazione dei titolari dei diritti si attiverà un iter amministrativo interamente delegato all’Authority spagnola che potrà così procedere all’eventuale chiusura dei siti online o delle piattaforme di file sharing grazie alla collaborazione dei fornitori di accesso ad internet responsabili del blocco ultimo dei server. Un procedimento che sembra ricalcare quasi in toto la schema di regolamento Agcom (delibera 398/2011) sfociato però in Italia, almeno per ora, in un vicolo cieco. In Spagna lo stop alla normativa potrebbe però esser presto decretato dal pronunciamento della Corte Suprema invocato dall’Associazione di tutela dei diritti fondamentali “Internautas.org”. L’appello del gruppo si è infatti concentrato sull’incostituzionalità di una legge che prevede di attribuire ad un organo amministrativo quale il Comitato per la proprietà intellettuale, competenze spettanti in esclusiva all’autorità giudiziaria.
A prescindere da come andrà a finire, sembra che la priorità di difendere il diritto d’autore su internet un modello, in Europa, lo abbia già inaugurato. Uno schema di intervento sempre più orientato al monitoraggio costante dell’attività degli utenti sulla Rete, tenuti sotto il duplice schiaffo dei fornitori di hosting e dei custodi del copyright sui nuovi mezzi di comunicazione elettronica.

Luana Lo Masto

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