Toghe, l'abito dei magistrati
C’è un giudice a Salerno. Che ha il coraggio di sollevare la questione di costituzionalità sulle norme che regolano la diffamazione a mezzo stampa. I magistrati del tribunale campano, con ordinanza, hanno demandato alla Corte Costituzionale un quesito che, dal punto di vista giuridico e delle libertà assicurate dalla Carta, è di estremo interesse: può il giornalista, anche solo in via teorica, rischiare di finire in carcere? Le norme attuali prevedono di sì ma le recentissime pronunce della Corte europea dei diritti dell’Uomo hanno sanzionato l’Italia, e lo hanno fatto anche recentissimamente sul caso Sallusti, per il regime normativo previsto in questa delicatissima materia.
La questione, in punta di diritto, non è nemmeno così sottile. Perché oltre alla questione di merito – intessuta sul dettato dell’articolo 21 della Costituzione – c’è la questione di forma da risolvere: sui diritti umani fa giurisprudenza la Cedu? Se sì, considerate le dure reprimende rivolte da questa all’Italia sulla diffamazione, c’è contrasto tra le attuali norme e il dettato costituzionale? Fino a che punto le “ipotesi eccezionali” che per la Cassazione giustificherebbero sanzioni detentive sono applicabili e armoniche con il dettato e le sentenze della Cedu proprio sui casi Sallusti e Belpietro?
Sul tema, da anni, si avverte l’urgenza di una riforma. Ma è da fin troppo tempo che i disegni di legge in materia languiscono a prender polvere in Parlamento. Ora la palla passa alla Corte Costituzionale, e, forse, toccherà ai giudici attuare quella tanto sospirata e auspicata riforma che possa riportare l’Italia, che sul punto è ancora ferma ai tempi del Codice Rocco, nel novero del Paesi occidentali.
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