De Benedetti nei Panama Papers, guai in vista o solo un polverone?

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L’Espresso rischia di mettere nei guai la famiglia del proprio editore pubblicando la lista di altri 80 nomi presenti nei Panama Papers: c’è anche quello di Rodolfo De Benedetti che parla di “società chiusa da anni”. Ma c’è qualcosa da chiarire…

Il gigantesco scandalo di evasione fiscale e conti offshore dei Panama Papers potrebbe avere ripercussioni sul mondo dell’editoria italiana: il nome di Rodolfo De Benedetti è finito nella lista delle persone coinvolte. Visto che proprio la famiglia De Benedetti, proprietaria del gruppo L’Espresso, potrebbe a breve dare vita al supergruppo con Itedi (e con gli Agnelli e i Perrone), viene logico cercare di vederci più chiaro possibile.

Partiamo con ordine, secondo quanto si legge dall’Espresso tra i nomi in chiaro, i Panama Papers riportano quello di Rodolfo De Benedetti, collegato alla McIntyre holding Ltd, registrata nel 1995 a cura di Mossack Fonseca nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche”. L’attuale presidente del gruppo Cir figurava come amministratore ma non come beneficiario economico.

De Benedetti ha subito spiegato che “la società è stata chiusa da molti anni” e che “in passato McIntyre si era occupata di investimenti finanziari nel continente americano gestendo antichi risparmi di famiglia e la posizione di questi ultimi fu regolarizzata con il fisco italiano nel 2003. Sottolineo che da sempre dichiaro tutti i miei redditi e pago le tasse in Italia”.

Ma scavando un po’ più a fondo, e in anni più vicini a noi, troviamo una società delle Isole Vergini britanniche chiamata Now Group Holding. Stando a quanto emerso, non si tratta di una qualsiasi finanziaria offshore: fino al 2006 nel suo capitale c’era una bella fetta del patrimonio di Carlo De Benedetti, già fondatore del gruppo Cir e presidente del Gruppo Editoriale L’Espresso. Nonché padre di Rodolfo.

La sede della società, manco a farlo apposta, era nell’ufficio dello studio panamense Mossack Fonseca. Lo studio, chiamato anche Mossfon, secondo il Guardian è il quarto più importante al mondo nel ramo della creazione e gestione di società in paradisi fiscali, aziende fondate ad hoc per clienti piuttosto facoltosi e spesso bramosi di coperture societarie (quando non di sparire di fronte al fisco). Detto questo, è anche doveroso ricordare che aprire una società offshore e dotarla di patrimonio e attività è lecito, ma va sempre dichiarato. Proprio dal Mossfon sono saltati fuori circa 11,5 milioni di documenti “top secret”, i Panama Papers, con i nomi di circa 280 presunti evasori fiscali di tutto il mondo.

Tornando alla Now Group Holding, la società era gestita da alcuni commercialisti torinesi di fiducia dei De Benedetti, i Segre, e la scelta della sede nelle Isole Vergini sarebbe dovuta al fatto che tra gli asset dell’azienda c’era una barca: alcuni membri dell’equipaggio, due australiani e due americani, non volevano un contratto italiano. A rivelarlo è Mario Gerevini che dal Corriere della Sera spiega anche come nel 2000 cinquanta miliardi di lire partono dalle Isole Vergini per ricapitalizzare la Romed International, cassaforte lussemburghese dell’Ingegnere. La Now Group si prende così il 24% della cassaforte ma solo in nuda proprietà, cioè senza poter esercitare i diritti patrimoniali (per esempio incassare i dividendi)”.

E i benefici a chi spettano? Stando a questa ricostruzione all’Ingegnere che poi avrebbe figurato anche come beneficiario finale. In entrambi i casi descritti da Gerevini le società vengono trasferite in Italia nel 2006 e l’ex società offshore caraibica viene smantellata poco dopo.

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