DDL DIFFAMAZIONE, LEGA, API E IL “VOTO SEGRETO” REITRODUCONO IL CARCERE. MARTEDÌ ULTIMO ESAME DELL’AULA

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Torna il carcere, fino ad un anno, per il reato di diffamazione. Il voto segreto ha sparigliato le carte. Hanno votato per la galera non solo Lega e Api, ma anche frange del Pdl e del Pd. Il Carroccio: «Diamo solo una alternativa al giudice. Fino ad un anno non si va in galera». Dura la Fnsi: «È stata colpa dei malpancisti forcaioli». Il testo tornerà in Aula martedì prossimo. Il Pdl spera in un emendamento “salva direttori”. Ma per il Pd è finita. «Bloccheremmo tutto il ddl», ha annunciato Anna Finocchiaro, capogruppo Pd al Senato. È ancora possibile un decreto minimale “salva Sallusti” varato in extremis dal governo. Intanto il direttore del Giornale attacca il Parlamento: «Fate schifo, fate pena, vigliacchi senza volto».
Abbiamo scherzato. Tutto come prima. Quasi due mesi di lavori “buttati”. Nel ddl diffamazione, varato in seguito alla condanna, in Cassazione, per diffamazione a 14 mesi di reclusione all’ex direttore di Libero, Alessandro Sallusti, è stata reintrodotta la pena detentiva fino ad un anno come alternativa alle sanzioni pecuniarie.
È stato un emendamento della Lega a far ricomparire la galera per il reato di diffamazione. Ma la proposta del Carroccio è stata ben accolta dall’Api e da numerose frange del Pd, Pdl e Udc. Questi hanno avuto gioco facile grazie al voto segreto (che il partito di Francesco Rutelli aveva già chiesto nelle precedenti votazioni). L’anonimato è stato sottoscritto da ben 55 senatori (il numero minimo è 20).
Dunque dopo l’approvazione della commissione Giustizia del Senato di un testo base con soli due articoli, si rimette tutto in discussione. La settimana scorsa Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia (nonché relatore del ddl), aveva confezionato un ddl asciutto. La bozza prevedeva soli due articoli: sostituzione del carcere con le multe (variabili da 5 a 50 mila euro) e norme stringenti sulle rettifiche. Il testo è stato condiviso dalla maggioranza. Sembrava fatta. Il sì di ieri doveva essere solo una formalità.
E invece no. E non sono state solo la Lega e l’Api a volere il carcere per i giornalisti. E i numeri lo dimostrano. Il voto segreto si è concluso cosi: 131 sì, 94 no, 20 astenuti (che in Senato valgono sostanzialmente come voto contrario). E conti alla mano i rappresentati della Lega insieme ai rutelliani non arrivano a 131.
La “sterzata ideologica” è stata preannunciata dalla “filippiche” dei senatori dell’Api e del Carroccio. «Quante macchine del fango volete vedere. Per salvare Sallusti si consente agli altri di diffamare. Ha ragione la Lega a volere il carcere», ha dichiarato Franco Bruno, esponente del partito di Rutelli. «L’onore di una persona è di suprema importanza. È folle equipararlo ad una mera multa. Inoltre con questa legge si annulla una sentenza della Cassazione. Faremo il quarto grado di giudizio», ha tuonato Sandro Mazzatorta, esponente della Lega. «Votare per il carcere è un atto di responsabilità», ha rincarato un altro parlamentare del Carroccio, Franco Rizzi.
E così è stato. Nello stupore generale si è ritornati al punto di partenza.
Roberto Castelli (ex ministro della Giustizia), deputato della Lega, ha cercato di “minimizzare” l’accaduto: «Diamo solo una alternativa al giudice. Il magistrato può decidere tra la multa e la galera. Ma tranquilli. Anche in caso di pena detentiva non succederà nulla. Fino ad un anno non si va in galera». Concorda il collega Roberto Maroni: «È stata solo una provocazione per sottolineare la superficialità con cui si stava approvando una legge importante. Non esiste il rischio della galera per i giornalisti».
Senza mezze parole il commento della Fnsi all’accaduto: «È stata colpa dei “malpancisti forcaioli. Dietro il muretto a secco dell’anonimato di Lega e Api hanno scritto una pagina vergognosa della politica italiana».
Deluso il Pd. Per i democratici il ddl diffamazione è arrivato alla tappa finale. «La legge non ha più senso. Il voto di ieri rende impraticabile ogni discorso. Inoltre l’emendamento della Lega va contro la Giustizia europea che vieta il carcere per i reati a mezzo stampa», ha dichiarato il senatore Pd, Vincenzo Vita. «La segretezza del voto è stata usata come arma contro la stampa», ha detto Luigi Zanda, vice capogruppo del Pd al Senato.
Ma il rammarico è generalizzato. «È stato un “harakiri politico», ha asserito il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini. Per Carlo Vizzini, membro del Psi e presidente della commissione Affari costituzionali, «è stato un voto omertoso e disonorevole».
Infatti l’esito del voto è stato stigmatizzato dai capogruppo al Senato del Pd, del Pdl e dell’Udc, i partiti che avevano approvato il testo base la settimana scorsa in commissione. Per Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl, è stata una «decisione sbagliata». Per Anna Finocchiaro, collega del Pd, «è meglio ritirare tutto il ddl e bloccare la legge». La reintroduzione del carcere «è una vendetta contro la stampa che disonora il Parlamento», ha affermato Giampiero D’Aia, capogruppo dell’Udc al Senato.
Sembra essersi arreso anche Filippo Berselli, relatore del ddl e presidente della commissione Giustizia: «Io non lavorerò più al ddl. Meglio lasciar perdere. Mi rammarico perché si rischia, con il nuovo testo, di non tutelare né i giornalisti, né i diffamati». Ma poi Berselli sembra contraddirsi: «Comunque la nuova legge sarebbe meglio della precedente, anche se non risolve il “caso Sallusti”».
Anche il governo era contrario alla reintroduzione del carcere per i giornalisti. Ma, ovviamente, non ha potuto nulla contro la votazione. Tuttavia l’esecutivo potrebbe varare un decreto “minimale”. Si tratterebbe di una provvedimento “ad personam”. Il che permetterebbe di salvare Sallusti dalla pena detentiva. Per il direttore del Giornale potrebbero scattare le manette già lunedì prossimo. Tale soluzione permetterebbe anche al Parlamento di lavorare con più calma ad una riforma organica che affronti tutti i punti critici dell’attuale legge sulla stampa. Ricordiamo che allo stato attuale la condanna per diffamazione prevede il carcere da uno a sei anni e una multa fino a 5 mila euro.
Fatto sta che, in seguito alla sospensione della seduta di ieri dell’Aula (perché il voto andava in senso opposto alla ratio del ddl) e dopo la conferenza dei capigruppo, avvenuta oggi, il ddl diffamazione tonerà all’esame dell’Aula martedì prossimo.
Il Pdl starebbe pensando ad un emendamento fatto su misura sul “caso Sallusti”. Ovvero si profilerebbe il caso specifico del direttore responsabile di una testata non autore dell’articolo diffamatorio. Ricordiamo che l’autore dell’articolo diffamatorio era Renato Farina, “nascosto” sotto lo pseudonimo Dreyfus. In tal caso, al direttore si applicherebbe una sanzione pecuniaria e non detentiva.
Ma per il Pd la partita è chiusa. La Finocchiaro ha già dichiarato che sapere che appena si avvieranno i lavori dell’Aula sul ddl diffamazione, il suo gruppo chiederà la sospensiva. E visto come potrebbero andare le cose sarebbe il male peggiore, quasi una necessità. Infatti i voti segreti chiesti da Lega e Api non sono finiti. Essi potrebbero ripristinare l’interdizione fino ad un anno, raddoppiare la pena in caso di recidiva, alzare le sanzioni pecuniarie, sottrarre i contributi all’editoria alle testate condannate, ecc.
Emblematico il parere di Caterina Malavenda, avvocato ed esperta in diritto dell’informazione: «L’andazzo del ddl ci fa sembrare buona la legge attuale».
In tutto ciò Sallusti è indignato e non le manda a dire. «Con questa legge non sarò solo a San Vittore». E poi un duro attacco trasversale ai parlamentari: «Fate schifo. Fate pena». E non manca un commento al vetriolo al votanti anonimi di Pdl e Pd: «Vigliacchi senza volto».
Il direttore del Giornale, dopo queste esternazioni, potrebbe rischiare altre querele.

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