DDL ALFANO: LA SOLUZIONE E’ IL RICORSO ALLA CORTE DI STRASBURGO. SE NE DISCUTE ALLA FEDERICO II

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Si è tenuto oggi, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli un convegno che ha analizzato la compatibilità del ddl sulle intercettazioni (Alfano) con la nostra Costituzione e con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Alla base del convegno c’è il Rapporto venuto fuori dallo studio condotto da un gruppo di studiosi coordinati dal Prof. Roberto Mastroianni. Il Rapporto mette in evidenza i punti critici – o meglio criticabili – del disegno di legge che a settembre verrà esaminato dal Senato, soprattutto per quanto riguarda la compressione “pressoché totale della cronaca giudiziaria, espressione della libertà di informazione”.
L’idea condivisa da tutti i numerosi e autorevoli relatori è che il sistema odierno che disciplina le intercettazioni e le attività giudiziarie, i codici deontologici dei giornalisti, la legge sulla privacy, sembrano sufficienti a tutelare il diritto alla riservatezza ponderandolo con il diritto di cronaca e di informazione. Ci si chiede, allora, quale sia la necessità di un decreto che introduce sanzioni sproporzionate e spropositate alla stampa che pubblica atti relativi ad intercettazioni stravolgendo le fondamenta del rapporto tra editore e giornalista e baipassando il ruolo del direttore. Infatti, l’editore sarà costretto a fungere da censore e pretenderà di essere informato sul contenuto degli articoli al fine di evitare sanzioni.
Ricordiamo che il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale prevede non solo l’aumento dell’ammenda fino a 5.000 euro ma anche l’arresto fino a 30 giorni o un’ammenda da 2.000 a 10.000 euro se il fatto riguarda le intercettazioni. Viene punito con la reclusione da sei mesi a tre anni chi pubblica brani di intercettazioni di persone estranee alle indagini o destinate alla distruzione. “Un atto è segreto solo quando non sia ancora noto all’indagato, dopodiché diventa pubblico”, ha spiegato l’avv. Caterina Malavenda, durante il suo intervento. “Non si capisce – ha continuato l’avvocato – per quale motivo, non si possa diffondere un atto pubblico attraverso la stampa. Così come non si capisce perché non si possano rendere noti i nomi dei magistrati che seguono le indagini”.
Il Rapporto, nella sua parte conclusiva, esplicita due possibili soluzioni, qualora il disegno di legge venisse approvato senza modifiche sostanziali: il giudizio di legittimità costituzionale e il ricorso alla Corte di Strasburgo (art. 34 Cedu). Quest’ultima, infatti, può intervenire anche sui ricorsi per lesione causata dalla sola presenza, nell’ordinamento, di una legge contrastante con i principi Cedu. Il ricorso può essere presentato anche da un’associazione che potrebbe essere lesa dalla legge in questione. “Con riferimento al ddl Alfano, si configura l’azionabilità di questo rimedio da parte di entità associative rappresentate tanto dalla categoria dei giornalisti quanto da quella degli editori”. E sarà proprio questa la strada che Roberto Natale (Presidente della Federazione nazionale della stampa), Guido Columba (Presidente dell’Unione italiana cronisti), Carlo Verna (Segretario dell’Usigrai) e Enzo Iacopino (Segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti) hanno assicurato di intraprendere se l’iter parlamentare non modificherà il ddl Alfano.
Fabiana Cammarano

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