CRONOSTORIA DEGLI ATTACCHI DEL GOVERNO ALLA LIBERTÀ IN RETE

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Gli attacchi di questo governo al web sono stati ripetuti e numerosi. Mettendo da parte tutte le iniziative che sono rimaste solo minacce ‘su carta’, con il decreto Romani, si è consumato il tentativo di equiparare le web tivù, i videoblog e perfino servizi come YouTube a reti come Rai o Mediaset. Assoggettando così tutte queste categorie alla disciplina sulla stampa e ai relativi obblighi.
Una norma, come ha rivelato un cablo del 3 dicembre 2010 pubblicato da WikiLeaks, che l’ambasciatore statunitense a Roma, David Thorne, ha definito come «un precedente che nazioni come la Cina potrebbero copiare o addurre a giustificazione per i loro stessi provvedimenti restrittivi della libera espressione».
E ancora: «Un decreto che sembra essere stato scritto per dare al governo abbastanza margine d’azione per bloccare o censurare qualsiasi contenuto in Rete».
A questi giudizi si è poi aggiunta una mobilitazione fuori e dentro il web che ha indotto il governo ad ammorbidire sostanzialmente le previsioni della norma.
Una mobilitazione che si è ripetuta in occasione della delibera Agcom sul diritto d’autore. A tal proposito stupisce la coincidenza tra la revisione del suo dettato, che nella formulazione iniziale affidava a un’autorità amministrativa il potere di rimuovere contenuti in violazione del copyright e impedire l’accesso a interi siti, e i disegni di legge Centemero e Fava.
Due testi identici che si propongono di concedere a ogni singolo cittadino di imporre ai provider la cancellazione di contenuti ritenuti illeciti, senza passare per l’autorità giudiziaria o amministrativa. E consegnando ai fornitori di servizio addirittura il potere di inibire l’accesso a internet ai soggetti in violazione della normativa sul diritto d’autore.
L’ultima arma, più pericolosa perché inserita all’interno del pacchetto normativo sulle intercettazioni che sta particolarmente a cuore a Berlusconi, è l’estensione dell’obbligo di rettifica previsto dalla legge sulla stampa a tutti i «siti informatici».
L’idea è concedere 48 ore a blogger e gestori di siti amatoriali per procedere a una adeguata rettifica di quanto scritto qualora un diretto interessato lo richieda. Ma la sanzione, fino a 12 mila euro, è abbastanza salata per ipotizzare il rischio che la norma si traduca in un incentivo all’autocensura.
Berlusconi ci aveva provato una prima volta nell’estate 2010, scatenando un putiferio di polemiche che aveva condotto all’accantonamento dell’intero disegno di legge. A distanza di 12 mesi, però, le intercettazioni dell’inchiesta sulle escort di Gianpaolo Tarantini hanno convinto il presidente del Consiglio a premere nuovamente sull’acceleratore.
Da più parti si è già levato un coro di voci che chiedono al governo di modificare o più radicalmente eliminare il comma ‘ammazza-blog’. Qualche apertura nelle fila della maggioranza c’è stata. Ma è presto per parlare di scampato pericolo. Soprattutto, visti i precedenti.
(Lettera 43)

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