Crisi editoria. Il pasticciaccio della revisione della spesa pubblica ha messo in ginocchio l’intero comparto

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giornali spazzaturaTagli lineari e crisi editoria. Si sta diffondendo la pratica di autorizzare nuove spese indicando che la copertura sarà trovata attraverso future operazioni di revisione della spesa o, in assenza di queste, attraverso tagli lineari delle spese ministeriali. Era già successo nella Legge di Stabilità del 2014, nel decreto legge di fine gennaio 2014 (per evitare il taglio delle spese fiscali) e nel decreto legge sulla pubblica amministrazione. Il risultato? Che i 50 milioni previsti (a bilancio) per i contributi editoria 2013 sono svaniti nel nulla. Ma andiamo nel merito. Cosa significa questo in prospettiva? Significa che le risorse che deriveranno dalla revisione della spesa per il 2015 non potranno essere usate per la riduzione della tassazione (o del deficit o per effettuare altre spese prioritarie). Oppure che si dovranno attivare i sopracitati tagli lineari. Luca Lotti, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’Editoria, poco meno di un anno fa replicò a muso duro durante il rapporto annuale della Fieg  sull’andamento economico del settore ricordando non solo che lo stanziamento corrente era di 50 milioni, ma che nel prossimo triennio ci sarebbero stati ben 120 milioni di fondo straordinario. Insomma, il Governo, secondo i propri rappresentanti, aveva la situazione sotto controllo. Anzi, si dimostrava “ben disposto” verso il comparto. L’idea sembrava buona, ma il bello doveva ancora venire. Nel frattempo hanno chiuso, in ordine sparso, L’Unità, Europa e La Padania e presto si aggiungeranno molte altre piccole realtà locali. Cooperative no profit, ma anche settimanali cattolici e religiosi. Molti penseranno che sia colpa della crisi di vendite e di ricavi pubblicitari, dell’ascesa del web (la crisi dell’INCHIESTA non dice nulla?), ma il Governo ci ha messo anche del suo. A fine anno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al pagamento dei contributi 2013, ma improvvisamente ci si è accorti che i 50 milioni del fondo non c’erano più. La prima ipotesi era che avrebbero pagato il 10%, poi il 20%, ecc.; infine, hanno finito per pagare poco più del 50% e solo dopo aver capito che si rischiava il crack del comparto. Ma se i fondi ad aprile 2014 ammontavano a 50 milioni, perché a dicembre non c’erano più? E il fondo straordinario per l’annualità 2014?
Pare che il fondo 2014 ammonti a circa 20 milioni (sarà forse la differenza del 50% pagato per il 2013?). Peccato che nessuno abbia ancora capito che per la pura sopravvivenza occorrono subito almeno 50 milioni, per mettere in condizione le aziende di scrivere bilanci attendibili. Quando, a partire dal 2010, il carattere di diritto soggettivo dei contributi all’editoria fu soppresso, la sinistra accusò il Governo Tremonti e il sottosegretario Bonaiuti di aver inferto al settore un colpo fatale. Fu richiesto più volte dal Senatore Vincenzo Vita e dal portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti, di convocare gli Stati Generali dell’Editoria (sulla falsa riga di quanto avviene periodicamente in Francia), per attuare una riforma strutturale e “studiata” per garantire il futuro del pluralismo nel nostro Paese. Ma la richiesta fu per il Governo di allora, troppo “lungimirante” e si preferì riscrivere la Legge. Se quell’appello fosse stato accolto, ora forse il comparto non sarebbe costretto ad “elemosinare” un emendamento nel Milleproroghe solo per poter continuare a sopravvivere. I tempi sono cambiati. Sul piatto non ci sono più i soldi derivati dalla vendita dei multiplex digitali delle frequenze tv ma ciò non vuol dire che gli Stati Generali dell’editoria non sono più necessari. Ma se ora (a differenza del 2010), al Governo c’è  il Pd, non vuol dire nulla, altrimenti Europa quotidiano, ma soprattutto l’Unità, sarebbero ancora in edicola…

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