COSA C’E’ DI SBAGLIATO NEL DDL SULLE INTERCETTAZIONI

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Il prossimo 5 novembre i giornalisti italiani e i loro colleghi europei continueranno a manifestare contro il disegno di legge votato dal Consiglio dei Ministri per la secretazione degli atti d’indagine. Nell’articolo di seguito pubblicato, Ugo Dinello, sul sito dell’Associazione Articolo 21, spiega le ragioni della protesta.
“Le intercettazioni sono solo un particolare del mutamento giuridico che verrebbe apportato dal disegno di legge ma che parte già di per sè da un dato errato: in Italia le intercettazioni sono nella media degli altri Paesi occidentali (ad esempio la Francia, Paese in cui, secondo il governo, esse sarebbero il 40% in meno che in Italia). Con un distinguo. In Italia le intercettazioni possono essere ordinate solo da un magistrato e ricadere in un capitolo di spesa relativo all’indagine. In Francia possono essere eseguite anche da organi di sicurezza autonomamente, non comparendo quindi nei capitoli di spesa della magistratura. Questo per chiarire che non è vero che in Italia si fanno più intercettazioni: queste sono semplicemente tutte contabilizzate.
Inutile dire, inoltre, che il blocco di fatto predisposto agli articoli 6, 7 e 8 (le forze dell’ordine e le procure non possono usare intercettazioni fatte per altre indagini, se non in casi particolarissimi) faranno aumentare a dismisura i doppioni di indagine, con una prevedibile esplosione dei costi. Quindi l’argomento “limitiamo l’assurda spesa fatta finora per le indagini” citato da un ministro, cade miseramente.
Ma, analizzando il testo del ddl, sono altri i punti dichiarati “inamovibili” dal governo, che destano maggiore preoccupazione in un addetto ai lavori.
Dei 18 articoli del ddl, infatti alcuni negano al cittadino di essere informato su quanto accade nella Repubblica. Gli esempi peggiori sono quelli dell’articolo 2 e dell’articolo 10.
L’articolo 2 vieta la pubblicazione su qualsiasi mezzo d’informazione degli atti di indagine, anche parziale e in forma riassuntiva, sia degli atti del pm sia della difesa fino alla chiusura dell’indagine preliminare ovvero fino dopo l’udienza preliminare, anche se non sussiste più il segreto.
Pertanto non potranno più essere pubblicate nemmeno le ordinanze di custodia cautelare.
Se domani “qualcuno”, magari un ministro, magari un noto imprenditore, magari un candidato alle elezioni, sarà arrestato, un cittadino, poniamo un elettore intenzionato a votare quel signore, non potrà saperlo.
Se il candidato X, paladino di “Patria, valori e famiglia” fosse arrestato per pedopornografia gli elettori che credono in “Patria, valori e famiglia” lo eleggerebbero tranquillamente al Parlamento della Repubblica.
L’articolo 10 prevede poi che l’obbligo del segreto si allarghi a tutta l’attività (e non più solo agli atti) di indagine di pm e polizia giudiziaria.
Attenzione: se io parlo di “attività” intendo tutto ciò che viene a conoscenza di una Procura.
Quindi, se alla ThyssenKrupp di Torino scoppiasse un incendio in cui, per colpa dell’azienda, un gruppo di operai non riuscisse a salvarsi perché i mezzi di sicurezza si rivelassero insufficienti, nessuno, assolutamente nessuno, potrebbe scriverlo o raccontarlo alla gente. Infatti sul fatto si aprirebbe automaticamente un fascicolo, quindi un'”attività” d’indagine. Ciò che potrebbe essere raccontato – forse – è che in una “nota città del NordItalia si è sviluppato un incendio per cause al vaglio delle forze dell’ordine”. Punto.
Non si potrebbe raccontare cos’è successo, quando, dove e soprattutto perché.
Non si potrebbe raccontare il fatto che ci sono state vittime, chi erano e perché sono morte mentre lavoravano.
Tutto infatti rientrerebbe nell’attività d’indagine che il disegno di legge del governo vieta di far conoscere ai cittadini-elettori.
Ora, mi chiedo e vi chiedo al di là di ogni vostra idea politica: questo è assicurare il diritto del cittadino-elettore a sapere quello che avviene nella Repubblica?
Questa è democrazia?”
Vincenza Petta

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