CORTE D’APPELLO DI MILANO. VERITÀ PUTATIVA E OBBLIGO DI CONSULTARE LE FONTI

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La Corte d’Appello di Milano Sez. II, in una sentenza del 19 giugno 2008, ha precisato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il cronista, per poter invocare l’esercizio del diritto di cronaca sotto il profilo della putatività, facendo affidamento, seppure in buona fede, sulla attendibilità della fonte, deve dimostrare di avere posto ogni più oculata diligenza e accortezza nella scelta delle fonti informative, nell’esplicazione del più attento vaglio circa la loro attendibilità e nel più penetrante controllo sulla rispondenza al vero della notizia pubblicata.
Il caso fa riferimento ad una fattispecie diffamatoria emersa contro un magistrato. Dall’esame delle prove sottoposto alla Corte d’Appello di Milano – demandata a decidere del caso a seguito del rinvio da parte della Corte di Cassazione -, era emerso: da un lato, che il giornalista lungi dal compulsare la fonte originaria, aveva basato il proprio articolo giornalistico sulla “rivelazione” di un fatto appreso dalla cronaca locale del quotidiano la “Stampa”. Quest’ultima, però, l’aveva tuzioristicamente esposto in forma condizionale, vi aveva dedicato un breve e asettico cenno, e aveva ritenuto perciò possibile – sia pure con il beneficio del dubbio – di divulgarla senza verificare la verità storica. Dall’altro lato, che il cronista aveva riportato maliziosamente la notizia come un fatto certo, senza aver svolto il sia pur minimo controllo di veridicità, cosa che peraltro appariva di agevole esecuzione.

Sulla base di tali presupposti, il Giudice d’appello ha ritenuto che non sussistessero i presupposti essenziali per la configurazione di un diritto di cronaca putativo né in capo al cronista e – di conseguenza – in capo al direttore del giornale, “responsabile del fatto ascrittogli per non avere svolto il doveroso controllo sulla condotta illecita del giornalista e per avere determinato, consentendo la pubblicazione dell’articolo diffamatorio, ingiustificata offesa alla reputazione altrui”.
La Corte ha quindi confermato le precedenti statuizioni di condanna generica al risarcimento dei danni con la liquidazione di una provvisionale di 10.000 euro, argomentando che l’offesa arrecata al prestigio e alla reputazione di un magistrato, in quanto intesa a minare il requisito principale della “terzietà” sul quale si fonda il ruolo istituzionale e la credibilità sociale del magistrato (quand’anche distaccato presso altre Amministrazioni proprio in ragione della stima e della professionalità acquisite), appare oggettivamente grave. Inoltre, la gravità risultava accresciuta dal rilievo che l’aggiunta di insinuazioni e dubbi sulla passione del magistrato per le esternazioni era del tutto eccentrica rispetto ai temi suscitati dalla “notizia” (falsa), e quindi davvero gratuita. Come tale, essa travalicava anche il presupposto della “continenza” per l’esercizio del diritto di cronaca e di critica.
Fabiana Cammarano

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