Coronavirus. Clemente (Cronache di Napoli e Caserta): “Basta slogan, la politica faccia il suo”

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Prosegue al Sud il viaggio di Editoria.tv nelle redazioni e tra i giornalisti che lavorano e documentano la prima pesante e grave emergenza che l’Italia si sia trovata ad affrontare dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Ugo Clemente, direttore editoriale di Cronache di Napoli, Cronache di Caserta e Cronachedi.it, non ha dubbi: la carta è un patrimonio ma le tecnologie sono il futuro. E tanto dipende dai giornalisti ma per le istituzioni è tempo di smetterla con i proclami e di agire subito.

 

Cosa è cambiato, nell’approccio al territorio, da quando è arrivata l’epidemia?

L’emergenza ha sicuramente avuto un ruolo determinante nella scelta degli argomenti da trattare e ha influito molto sulla stessa struttura dei fascicoli di Cronache di Napoli e di Caserta. Le nostre redazioni si sono sempre distinte per la capacità di intercettare e approfondire notizie di cronaca nera, giudiziaria, politica, economica, sportiva e culturale a livello locale e di dare voce ai cittadini di ciascuna delle città delle rispettive province. Lo facciamo dal 1995 a Caserta e dal 1999 a Napoli.

Per la prima volta abbiamo avuto a che fare con un’emergenza che ha stravolto ogni attività sociale. Ha colpito profondamente l’economia a ogni livello, dalle dinamiche nazionali e internazionali ai piccoli esercizi commerciali, ha bloccato le attività sportive, ha costretto magistratura e forze dell’ordine a riorganizzare il proprio lavoro e anche la criminalità si è adeguata al nuovo scenario. Le attività culturali, gli spettacoli e i concerti si sono fermati. L’epidemia ha portato con sé nuovi problemi per gli operatori economici, per i trasporti, per gli spostamenti delle persone, per la sanità, per l’istruzione, per l’organizzazione del lavoro in ogni azienda e negli enti pubblici e in ogni altro ambito. Insomma, è stato inevitabile per noi ripensare il nostro lavoro per raccontare una società diversa, alle prese con una minaccia nuova, inaspettata e per molti versi imprevedibile negli sviluppi futuri.

L’unica cosa che non è cambiata sono i politici, di ogni colore. Già prima si distinguevano per inadeguatezza e vanagloria, indipendentemente dal colore. Il virus ha messo in evidenza ancor di più la loro incapacità di risolvere i problemi concreti e la tendenza a basare la loro attività politica solo sugli slogan e su annunci che non si tradurranno mai in realtà.

 

E’ cambiato, e se sì come, il rapporto con i lettori?

Si è rafforzato molto il rapporto di fiducia con i nostri lettori. Abbiamo registrato una forte richiesta di informazione attendibile e autorevole, quella fatta da giornalisti professionisti. Questo ha avuto come conseguenza una buona risposta in termini di vendite, nonostante le restrizioni imposte agli spostamenti e la chiusura di molte edicole. In termini di introiti ha inciso molto la contrazione della raccolta pubblicitaria. Ma considerate le circostanze, direi che abbiamo guadagnato terreno anziché perderne. Nonostante la velocità e la gratuità del web, che rappresentano sicuramente un valore per i lettori, evidentemente l’offerta informativa su carta stampata è quantomeno complementare rispetto a Internet. L’approfondimento, la riflessione, il commento, la verifica delle notizie sono ancora considerati una risorsa della quale il pubblico non può fare a meno.

 

I rischi connessi al coronavirus hanno indotto tanti a ripensare i modelli, anche sul posto di lavoro. Come è cambiato l’impegno in redazione?

Questa epidemia ci ha sicuramente costretti a organizzare il nostro lavoro in maniera diversa. Fortunatamente già da qualche anno avevamo avviato un piano di rinnovamento generale che prevede l’utilizzo sempre più intensivo di strumenti telematici. Dalle dirette streaming per le interviste al cloud per l’archiviazione e la condivisione dei documenti. Il nostro sito web, Cronachedi.it, era già operativo da qualche anno e lo abbiamo creato e gestito senza ricorrere a risorse esterne. Avevamo preso ormai dimestichezza con strumenti che fino a qualche anno fa erano lontani anni luce dal nostro lavoro, dai programmi di editing video allo sviluppo web, fino all’e-commerce. Avevamo già una macchina rodata per la gestione dei social e per l’ottimizzazione dei nostri contenuti per i motori di ricerca. Ora abbiamo maturato qualche esperienza in più. Il telelavoro ha comportato sicuramente qualche rallentamento all’inizio ma molti colleghi hanno notato che la cosa ha avuto effetti molto positivi sul prodotto giornale. Lavorare a distanza ha permesso anche ai colleghi con più esperienza di tornare a immergersi nelle rispettive realtà locali. E questo in molti casi ha arricchito i nostri quotidiani, sia quelli cartacei sia quello online.

 

Quali conseguenze potrà avere l’epidemia sui giornali e sul futuro della stampa locale?

Io sono ottimista. Penso che tutti si siano resi conto del fatto che l’informazione su carta stampata è un patrimonio da preservare. E poi il pluralismo dell’informazione è la pietra angolare della nostra democrazia. Non è un caso che gli altri Paesi europei e non solo sostengano i giornali liberi molto più che in Italia. Da noi è un valore garantito dalla Costituzione, un aspetto imprescindibile della libertà di stampa e di pensiero. Dovremmo fare di più per difenderlo.

 

Come giudica, finora, l’operato delle istituzioni? 

Finora si è fatto troppo poco. Lo ripeto, il nostro Paese su questo terreno è indietro rispetto a molti altri.

 

Come se ne esce da quest emergenza? 

Il sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella sta studiando una nuova legge. Le dichiarazioni che ha reso finora lasciano ben sperare, mi pare che sia una persona molto sensibile a questo tema e che conosca molto bene la materia. Speriamo che questa nuova misura metta ordine alla normativa vigente e che dia finalmente qualche certezza alle aziende editoriali, alle migliaia di professionisti, di pubblicisti e di figure che a vario titolo operano in questo settore e nella relativa filiera.

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