Coronavirus. Carisio (Il Mercoledì): “Ne usciremo riscoprendo lo spirito dell’Italia degli anni ’60”

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La pandemia ha sconvolto la vita di ciascuno di noi. Il coronavirus è una realtà con la quale bisogna fare i conti. Dal punto di vista medico e sanitario, certo. Ma anche, e soprattuto per quanto riguarderà l’immediato futuro, dal punto di vista economico. L’editoria, già prostrata da mille problemi, adesso è alla sfida decisiva. Attraverseremo l’Italia, ne parliamo con i giornalisti che, da Nord a Sud, sono in prima linea nel racconto della crisi più grave che il nostro Paese si trova ad affrontare dal Dopoguerra ad Oggi.

Il nostro viaggio inizia dal Piemonte, con Luca Carisio, vicedirettore del settimanale Il Mercoledì, autentico punto di riferimento per l’informazione locale nell’area della cintura a sud del capoluogo piemontese di Torino.

 

L’arrivo del coronavirus ha cambiato la vita di tutti. Come ha cambiato l’approccio, il lavoro quotidiano sui territori del giornale?

Il Mercoledì è un giornale settimanale che esce nell’area a sud di Torino. A ottobre avevamo festeggiato i 25 anni di attività e per l’occasione avevamo pensato a iniziative e piani per lo sviluppo del giornale. Ma l’arrivo di questa pandemia ha cambiato le carte in tavole. Stiamo faticando molto: però continuiamo a uscire, e perciò ringraziamo sempre i lettori e le edicole. Il coronavirus ha cambiato l’informazione, a ogni livello. Tg e giornali ci appaiono quasi monotematici: si parla solo del Covid e dei problemi che porta, dai decessi alle difficoltà economiche. Noi stessi abbiamo dovuto riorganizzarci con lo smartworking e limitando le presenze in redazione. È tutto molto complicato: la pubblicità è crollata e diventa difficile raggiungere la sostenibilità economica. Ma stringiamo i denti per andare avanti e capire cosa accadrà dal 4 maggio.

 

E’ cambiato il rapporto con i lettori?

Noi siamo un settimanale locale, dunque il nostro rapporto coi lettori è sempre stato molto forte. E si è rafforzato in questo periodo drammatico. Sono stati loro a segnalarci alcuni degli aspetti più tragici di quanto sta avvenendo intorno a noi. Di molti fatti siamo venuti al corrente perché erano gli stessi parenti dei deceduti o degli ospiti delle residenze sanitarie per gli anziani che ci spiegavano cosa stava accadendo.

Va fatto notare quanto sia aumentato l’utilizzo del social e del digitale, dove abbiamo riscontrato un aumento di vendite rispetto al cartaceo che, per la stampa locale, è il mezzo principale. Ciò è avvenuto anche perché abbiamo deciso di abbassare il prezzo dell’edizione digitale al fine di venire incontro a chi decideva di seguirci pur se costretto a restare a casa.

 

Come è cambiato il lavoro in redazione?

Per forza di cose abbiamo dovuto cambiare le nostre linee guida. Adesso ci si muove molto meno: è il nostro lavoro quello di informare però dobbiamo evitare di ingenerare qualsivoglia rischio alle persone. Si lavora, perciò, con il telefono e coi contatti personali; ci si muove solo quando farlo è strettamente necessario. La pandemia ha cambiato il nostro modo di operare e vivere. Ha cambiato anche il modo col quale svolgere la missione di fare editoria a livello territoriale, dove il rapporto è molto stretto con le città che si seguono. Nei prossimi mesi il tema sarà quello economico, si dovrà capire quando finirà l’emergenza sanitaria e come andrà a finire per l’economia. Per capire lo scenario, ecco un dato dal nostro territorio, dove vivono circa 200mila abitanti: secondo l’Inps, da qui sono arrivate ben 12mila domande per il “famoso” bonus dei 600 euro alle imprese. Dimostra, ciò, come stia rischiando di crollare un tessuto sociale ed economico in una zona che ha avuto sempre un reddito pro capite superiore alla media: un’area magari non ricca ma di sicuro che non conosceva la povertà diffusa.

 

Quali conseguenze l’epidemia avrà sui loro giornali e sul futuro della stampa locale o di settore?

L’editoria è già in difficoltà ma a noi tocca continuare a stringere i denti se vogliamo continuare a vivere. Credo che, come accade per le altre attività, ci dovrà essere il supporto dello Stato, altrimenti si rischia di far morire aziende e giornali che hanno portato alla luce molte cose che, purtroppo, non sono andate per il verso giusto. A leggere i comunicati va sempre tutto bene, anche in questi momenti di emergenza: ma c’è bisogno di verificare le notizie e di gente che lo faccia professionalmente, offrendo un’informazione corretta e veritiera, indipendentemente da quanto o quale sia il territorio a cui ci si riferisce. Questo è un baluardo a cui uno Stato democratico non può rinunciare.

 

Quale giudica il comportamento e le azioni delle Istituzioni? 

Le istituzioni, in questo momento, stanno cercando di supportare la nostra azione di informare e nell’aiutarci stanno facendo anche loro quanto possono per garantirci un minimo di fatturato. Dai Comuni alla Regione, tutti si accorgono che il territorio ha bisogno di una corretta informazione. Poi, certo, come sempre succede c’è chi fa di più e chi di meno, ma fa parte del gioco: però posso sicuramente dire che i più Comuni più grandi e la Regione Piemonte hanno capito il nostro valore e stanno facendo il loro. L’importante, adesso, è che continui a farlo anche lo Stato.

 

Siamo in un periodo duro e non finirà presto. Come se ne esce, come torneremo alla normalità?

Se ne esce facendo ognuno la sua parte. Debbono esserci degli aiuti alle attività economiche perché reggano e con loro anche i dipendenti: se ciò accadesse, per lo Stato sarebbe un investimento che gli eviterebbe le conseguenze di una crisi generalizzata e il ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali. Bisognerà vedere se e come ci saranno le condizioni per una ripresa, vedere come e quanto la gente potrà spendere. Se e quanti soldi ci saranno, se, pur con difficoltà, si riuscirà a rilanciarsi.

Credo che, comunque andrà, occorrerà lavorare con la stessa intensità dei nostri padri e dei nostri nonni degli anni ’60: adesso dobbiamo rimboccarci maniche per far capire a tutti che siamo una Nazione con la maiuscola.

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