La Corte Costituzionale con la sentenza che alleghiamo (e che troverete cliccando qui) si è espressa in relazione alla illegittimità delle norme che hanno tagliato, nel corso degli ultimi tempi, il contributo all’editoria.
Pur senza entrare nel merito della stessa, di sicuro la lettura della sentenza risulta più interessante e proficua di una nostra annotazione; ma si deve rilevare che come, al solito, il sottosegretario Vito Crimi sia prontamente intervenuto per modificare la sostanza e il contenuto della pronuncia della Corte.
L’esponente dell’esecutivo, almeno come si legge dalle agenzie, arriva a sostenere che il precedente Governo provvedeva all’elargizione dei contributi con un’attività discrezionale. La Corte ha detto invece che così non era, perché, comunque, esisteva una norma di legge che fissava parametri oggettivi, delegandone la sola attuazione all’esecutivo. E proprio in questa direzione e non esistendo un diritto assoluto delle imprese ad essere finanziate dallo Stato la Corte ha ritenuto che le norme in questione non fossero in contrasto con la Costituzione.
Interessante, quindi, riportare un inciso che non porta fuori contesto: “in un settore come quello in esame, caratterizzato da un diritto fondamentale, vi è l’esigenza che il quadro normativo sia ricondotto a trasparenza e chiarezza, e in particolare che l’attribuzione delle risorse risponda a criteri certi e obiettivi”. La Corte, riconoscendo quindi l’attività come strumentale all’esercizio di un diritto fondamentale attribuisce al legislatore, e non al Governo, il compito di rendere i criteri oggettivi e funzionali alla tutela del pluralismo.
Esautorare il Parlamento, come il sottosegretario Crimi fa dal momento dell’insediamento, di qualsiasi funzione, preannunciando bandi ministeriali significa esattamente contraddire le indicazioni della Corte Costituzionale. Ma per capirlo bisogna leggere la sentenza e, forse, avere gli strumenti per capirne il significato.
Enzo Ghionni
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