CONTRATTO DI SERVIZIO RAI: QUESTO SCONOSCIUTO

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La Rai stipula ogni tre anni un contratto di servizio con lo Stato che dà all’azienda di Viale Mazzini la concessione dei diritti. Attualmente è in vigore il contratto 2010-2012. Gli standard minimi e le linee guida sono fissati rispettivamente dalla legge e dall’Autorità garante d’intesa con il Ministero dello Sviluppo Economico.
Una sentenza del 2002 della Suprema Corte afferma che il servizio pubblico radiotelevisivo non può limitarsi ad operare come le altre emittenti, ma ha degli obblighi in più, in ragione del suo essere pubblico e del pagamento del canone.
La Rai è la maggiore industria culturale pubblica italiana è ha l’obbligo sia morale che giuridico di informare, educare e formare cittadini attivi e partecipi al sistema. La Rai, come da contratto, è tenuta a «stimolare l’interesse per la cultura e la creatività, anche valorizzando il patrimonio artistico nazionale» e promuovendo una conoscenza non superficiale dei fenomeni locali e globali. Nonostante ciò, è notizia di questi giorni l’eliminazione di ‘Passepartout’, uno dei programmi più coerenti con i principi del contratto.
La Rai è anche tenuta a fornire un’informazione plurale e aggiornata rispetto alle vicende di governo. Ma anche su questo punto ci sarebbe da ridire, tanto che nel 2010 è partita una classaction da parte di Altroconsumo a causa dell’insufficienza e dell’parzialità dell’informazione e dell’imposizione del pagamento di Tivusat mentre gli abbonati dovrebbero – sempre per contratto – poter «usufruire della programmazione Rai su qualsivoglia piattaforma tecnologica (satellitare, digitale terrestre, via cavo) senza alcun costo aggiuntivo rispetto a quello rappresentato dal cosiddetto canone Rai». Altroconsumo ha chiesto 500 euro di risarcimento e il rimborso delle spese delle cosiddette smart card Tivusat.
La mancanza di imparzialità dell’informazione prodotta dal servizio pubblico è sempre più evidente e non solo da parte delle opposizioni che si vedono scarsamente rappresentate ma anche ad avviso dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Anche quest’anno la Rai, a ridosso delle elezioni amministrative, è stata più volte sanzionata (l’ultima multa al Tg1 è stata di 258.230 euro, la misura massima prevista dalla legge in quanto recidiva) per la violazione della par condicio a causa della perdurante sproporzione di tempo dedicata dal Tg1 ai partiti politici di maggioranza rispetto a quelli di opposizione.
Vogliamo poi parlare della qualità della programmazione? È sempre più evidente l’appiattimento dei generi e la moltiplicazione dei soliti format. Proprio per evitare questo nel precedente contratto di servizio era stato previsto il Qualitel, un organismo indipendente che avrebbe dovuto monitorare la qualità dei programmi. Purtroppo non è mai stato attuato.
Troppe incongruenze, troppa superficialità nella gestione di una così importante azienda e nessuna trasparenza: i cittadini dovrebbero sapere quali programmi sono finanziati dal canone e tali programmi dovrebbero promuovere la cultura, l’informazione e l’intrattenimento nonché rispettare la sensibilità delle persone e promuovere lo sviluppo psicofisico dei minori.
Tutto sempre e solo sulla carta. Sotto gli occhi di tutti, invece, c’è la pessima gestione di un’azienda sempre più in balia degli interessi politici che succhia allo Stato denaro e non fa ascolti.

Un’inchiesta de il Giornale, nel 2008, sottolineò che i dipendenti Rai sono davvero tanti: 13.248 persone. Come gli abitanti di Portoferraio, sull’Isola d’Elba. Per la precisione 11.250 sono i dipendenti a tempo indeterminato (9.889 nella spa) e 1.998 quelli a tempo determinato. E non finisce qui: bisogna conteggiare circa 43mila contratti di collaborazione (come i cittadini di Rieti) e si arriva alla cifra di oltre 56mila unità. La Direzione produzione Rai conta 3.851 persone, 800 in meno dell’intero gruppo Mediaset, cioè del principale concorrente che ha a libro paga 4.635 dipendenti. E intanto si licenziano personaggi importanti come Santoro, Saviano e la Dandini, si eliminano alcune edizioni dei tg locali ma si paga mezzo milione per lo studio di Bruno Vespa.
Egidio Negri

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