CHIUSA ISTRUTTORIA SU POSTE ITALIANE. PER L’ANTITRUST NON C’È ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE

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L’Antitrust ha deciso di accettare e rendere obbligatori gli impegni presentati da Poste Italiane nell’ambito dell’istruttoria avviata per possibile abuso di posizione dominante e di chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione. E’ quanto riporta il bollettino settimanale dell’Authority, che il 9 marzo 2011 aveva avviato l’istruttoria, su segnalazione di Selecta, volta ad accertare eventuali violazioni di Poste Italiane, tramite Postel, nel mercato dell’intermediazione rispetto al servizio di posta massiva.
Il monopolio postale è un “problema vecchio”. Per capire la genesi della vicenda è necessario fare qualche passo indietro.
«Mentre tutti gli operatori postali devono applicare sui prezzi offerti l’imposta sul valore aggiunto, Poste Italiane beneficerebbe di un notevole vantaggio competitivo potendo formulare offerte esenti da Iva», aveva dichiarato l’Antitrust. In poche parole Poste Italiane, non applicando l’Iva anche ai servizi oggetto di negoziazione individuale, riesce a proporre offerte non replicabili dalla concorrenza costretta ad aggiungere sui prezzi offerti l’imposta sul valore aggiunto. “Evadendo l’Iva”, Poste Italiane riesce a proporre servizi ad un 20% in meno. Per l’Antitrust poteva prefigurarsi un abuso di posizione dominante nel settore dei servizi postali, ormai liberalizzati.
Dal 2012 ampi settori postali sono stati aperti al mercato e affidati alla concorrenza come la posta massiva, la posta prioritaria (nazionale e internazionale), le raccomandate, la posta assicurativa, la stampa e i pacchi.
L’Antitrust avrebbe dovuto esaminare la condotta di Poste alla luce della normativa comunitaria e nazionale. Una sentenza della Corte di giustizia del 23 aprile del 2009, infatti, prevede che, per i servizi negoziati individualmente, venga aggiunta l’Iva. L’istruttoria avrebbe dovuto anche valutare se ci sono delle falle normative tali da permettere, o addirittura obbligare Poste, a non applicare l’Iva.
La questione è complicata. Il problema del monopolio è stato affrontato anche in passato.
Facciamo un esempio. Nel gennaio del 2011, più di un anno fa, quando il decreto liberalizzazioni non esisteva ancora, l’Istituto Bruno Leoni, noto centro di studi italiano (di matrice liberale) già intravedeva problemi. Allora si trattava del decreto che recepiva la terza direttiva per la liberalizzazione postale. Vincenzo Visco Comandini (Università di Roma Tor Vergata) e Livia Magrone (avvocato) elencavano cinque punti critici: «il mantenimento del monopolio per gli atti giudiziario e le raccomandate per notifica; la concessione a Poste come servizio “universale” per 15 anni; il metodo di calcolo del suo costo e del suo finanziamento; l’assegnazione delle funzioni di controllo ad un’Agenzia governativa anziché ad una Autorità Indipendente; l’obbligo per gli esercenti dei servizi di rispettate le condizioni di lavoro previste della contrattazione collettiva di lavoro di riferimento». Il direttore generale dell’Istituto affermava, già l’anno scorso, che «Poste Italiane deve essere ricondotta nel recinto di un mercato concorrenziale, e non c’è peraltro ragione che rimanga in mani pubbliche. Liberalizzando il mercato e privatizzando le Poste si aiuterebbero sia la crescita economica, sia le finanze pubbliche».
Egidio Negri

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