CASO SALLUSTI: 30 GIORNI ALLE MANETTE. IL DIRETTORE DE IL GIORNALE: «SPERANZA NAUFRAGATA. IL CARCERE È IRREVERSIBILE»

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Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione a causa di un articolo scritto da Renato Farina nel 2007 su Libero, si è rassegnato al carcere: «Il Parlamento ha messo in piedi una sceneggiata. Si sono inseriti articoli che non c’entrano nulla. Politici cialtroni. Meritano un giornalista in galera». Ma Edmondo Bruti Liberati apre uno spiraglio: «Ci sono ancora trenta giorni di tempo».
Sallusti ha ricevuto il 19 ottobre la notifica della condanna. In allegato il relativo ordine di esecuzione. L’ex direttore di Libero ha ora tempo fino al 19 novembre per chiedere le misure alternative: la semilibertà, i domiciliari e i servizi sociali. Ma è solo una possibilità teorica. Sallusti ha più volte ribadito che non intende percorrere scorciatoie. «Non ho bisogno di essere rieducato», ha affermato il direttore del Giornale. Infatti domani i suoi legali depositeranno in Procura una rinuncia ufficiale alle misure alternative.
Dunque tutto dipende (ma lo si sapeva già) dalla politica. Il codice penale italiano prevede la pena detentiva per il reato di diffamazione. Anche se non succede spesso (ma comunque accade) che in Italia si ammanetti un giornalista per aver espresso una opinione. Questa volta è successo a Sallusti. La fama del direttore del Giornale poteva fungere da volàno per una riforma della legge. In effetti sarebbe ora che l’Italia si allineasse alle leggi e alle sentenze europee. Queste non prevedono il carcere per i reati di diffamazione. Inoltre più volte la Corte di Strasburgo ha invitato gli Stati membri a eliminare le pene detentive per i reati a mezzo stampa.
E quindi, come accennato prima, dipende tutto dalla politica. Solo il Parlamento e il governo (quest’ultimo solo in caso di decreto legge) possono cambiare le leggi. E all’inizio sembrava scontato che lo facessero. C’èra la volontà di tutti, compresa (l’inevitabile) solidarietà delle associazioni di categoria, Fnsi in primis.
Ma poi i lavori si sono arenati in Parlamento. Si poteva varare un decreto legge per “tagliare la testa la toro”. Mai come in questo caso c’erano i parametri di necessità e urgenza. Ma il governo, nei panni del ministro della Giustizia, Paola Severino, ha confidato in un ddl più completo e organico. Possibilmente approvando il provvedimento direttamente in sede deliberante in commissione Giustizia senza passare per l’Aula. In tal modo si sarebbe risparmiato tempo e, probabilmente, già ora, il ddl sarebbe stato licenziato da Senato e Camera. E il caso sarebbe stato chiuso.
Niente di tutto questo. Le carte in tavola sono cambiate. Sei senatori, di Pd, Idv e Api, hanno deciso di bloccare “l’iter abbreviato”. «Non credo sia mai una una buona regola quella di legiferare sull’onda emotiva e/o emergenziale, tranne che per i terremoti. Si fanno spesso pasticci e magari danni peggiori dei guai che si vogliono risolvere», ha dichiarato Luigi Vicamerati, senatore Pd.
E in effetti il rischio di fare pasticci c’era e c’è ancora. Sono stati presentati più di cento emendamenti. Si è parlato di estendere la responsabilità dei direttori alle testate radiotelevisive e telematiche, di accomunare i blog ai siti di carattere editoriale, di sanzioni disciplinari “costituzionalmente dubbie”. come tra la sospensione e la radiazione per i giornalisti recidivi. Anche decidere i parametri per le sanzioni pecuniarie non è tuttora semplice. Il tetto massimo dovrebbe ora essere di 50 mila euro. Ma tale somma sarebbe da modulare a seconda della grandezza del giornale. Inoltre pochi giorni fa sono spuntati due emendamenti a dir poco incoerenti con l’obiettivo iniziale del ddl. Giacomo Caliendo su proposta di Antonio Caruso, entrambi Pdl, hanno proposto un emendamento, soprannominato anti-Gabanelli, che annulla tutte le clausole che sollevano i giornalisti dalle conseguenze patrimoniali a seguito di eventuali cause civili. Non finisce qui. Gennaro Coronella, pidiellino anch’egli, ha avanzato un emendamento per cancellare l’ineleggibità alla Camera per i presidenti di giunta provinciale. Insomma il ddl è diventato una sorta di decreto omnibus. E ognuno cerca di modificarlo a proprio piacimento. L’unica cosa certa sono la cancellazione delle pene detentive e l’obbligo di rettifica, forse anche per i giornali telematici. E al direttore del Giornale non è andata giù tale farraginosità del Parlamento che «ha messo in piedi una sceneggiata». Sallusti, quindi, sembra ormai convinto di dover andare in cella: «La speranza è naufragata per mancanza di volontà e capacità. Mi fa orrore sapere che i politici italiani sono così cialtroni che mentre si discute al Senato di una modifica della legge 47/1948 sulla diffamazione a mezzo stampa si pensa di inserire degli articoli che non c’entrano nulla. Un Paese con una casta politica così si merita di avere un giornalista in prigione per le opinioni espresse dal suo giornale».
Tuttavia “dalla parte della Giustizia” c’è ancora chi rimane possibilista. Edmondo Bruti Liberati, capo della Procura di Milano ha affermato che «non c’è ancora nulla di deciso e che c’è tempo fino al 19 novembre».
Il effetti il tempo non manca. Forse scarseggiano la volontà e l’intenzione? Vedremo.
Alberto De Bellis

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