“Ci siamo abituati in questi anni ad essere sistematicamente considerati “invisibili” per quanto concerne la retribuzione del nostro lavoro. Non ce ne voglia il dottor Mario Ciancio Sanfilippo se, dopo aver letto le sue dichiarazioni all’Ansa (“garantendo durante la propria gestione la puntuale corresponsione delle retribuzioni a giornalisti”), gli precisiamo che così non è, almeno per quello che ci riguarda. Il nostro lavoro di collaboratori, infatti, non è stato retribuito per il periodo marzo-agosto 2018 (gestione Ciancio). Sei mesi, che non sono poca cosa (almeno per noi). Anche l’amministrazione giudiziaria ci ha riservato lo stesso trattamento”. Così comincia la dura lettera che i collaboratori de La Gazzetta del Mezzogiorno hanno firmato per illustrare la drammatica situazione in cui si ritrovano a vivere e lavorare.
Nel documento, tutte le difficoltà patite quotidianamente, ormai da troppo tempo, dai giornalisti: “L’elenco delle mensilità per cui il nostro lavoro non è stato retribuito si è allungato, sino a raggiungere, ad oggi, complessivamente quota tredici. Nonostante sia un dato acquisito che noi collaboratori, con il nostro lavoro quotidiano, contribuiamo affinché la Gazzetta conservi la sua peculiarità di autorevole voce di ogni comunità di Puglia e Basilicata, sistematicamente, quando si è trattato di scegliere tra chi retribuire e chi non retribuire, siamo stati ignorati”.
Più di un anno senza soldi. Ma i giornalisti collaboratori non hanno mai fatto mancare il loro impegno: “Nonostante questo, la maggior parte di noi non ha tirato i remi in barca e ha proseguito con immutata grinta nel suo impegno quotidiano perché questo giornale fosse la Gazzetta. Oggi prendiamo atto del fatto che non solo il nostro impegno potrebbe non essere servito a niente, ma nel momento della deriva nessuno si ricorda che ci siamo e che se la nave dovesse affondare ognuno di noi perderà qualcosa in questo naufragio. Poco o molto che sia non è importante: un anno – scusate se è poco – del nostro lavoro non verrà retribuito”.
Quindi la conclusione: “Parliamo di lavoro, non di volontariato. Lavoro a cui abbiamo dedicato tempo ed energie, mettendoci passione, impegno e professionalità. Per noi sarebbe uno smacco nello smacco se, anche adesso, nessuno, a tutti i livelli, si ricordasse che ci siamo. La nostra condizione di “figli di un dio minore” non ci consente di scioperare o mettere in campo altre iniziative di sensibilizzazione, ma questo non significa che non abbiamo una dignità”.
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