CASO AUDITEL: CONFERMATA MULTA DAL TAR. MA LE CONTESTAZIONI RISALGONO AL 2003

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Il ricorso di Sky è solo l’ultima critica ad un sistema che ha sempre zoppicato. Nel 2003 fu accusato l’Agcom.
Auditel deve pagare 1,8 milioni di euro per «abuso di posizione dominante». Lo aveva deciso l’Antitrust nel dicembre del 2011. Ora il Tar del Lazio lo ha confermato.
Cerchiamo di capire chi è Auditel. Si tratta di una società di statistica, nata nel 1984, che rivela e pubblica gli indici d’ascolto sulle trasmissioni televisive. E su questi dati che gli inserzionisti pubblicitari investono o meno su un programma. Dunque, essendo gli spot la linfa vitale della tv, Auditel decide il successo o meno del palinsesto di una rete. La proprietà della società è divisa in quote del 33% tra Rai, emittenti private, come Telecom Italia Media e Mediaset (con quest’ultima che detiene la quota do controllo) e l’Upa (l’associazione delle aziende che investono in pubblicità). Il restante 1% è della Fieg (Federazione Italiana Editori e Giornali). Dunque è presente il “vecchio” duopolio che, nonostante la progressiva erosione degli ascolti, domina il mercato tv. Inoltre sono presenti anche gli investitori. E anche su questo punto si potrebbe obiettare. Gli inserzionisti dovrebbero essere i fruitori del servizio e non parte integrante della società che li fornisce. Qualcuno potrebbe anche pensare ad un conflitto di interessi.
Infine, ed è il motivo che generato il ricorso, Sky Italia, come anche i nuovi entranti non sono presenti. L’istruttoria dell’Antitrust che portò alla maxi sanzione era stata avviata proprio in seguito a una denuncia del colosso di Murdoch. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’ennesimo ritardo delle comunicazione dei dati del venerdì seguente alla trasmissione Servizio Pubblico di Santoro, trasmesso anche da Sky Italia. Ma non si trattava di un mero ritardo. Le motivazioni erano più profonde e complesse. E l’Antitrust diede ragione a Sky.
Secondo l’Autorità «i comportamenti anticoncorrenziali della società Auditel, denunciati da Sky, hanno causato un pregiudizio significativo alle dinamiche competitive nei mercati della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo, dell’offerta dei servizi televisivi a pagamento e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi».
In altre parole le rilevazioni hanno limitato le possibilità di crescita dei nuovi entranti «non avendo consentito una corretta valorizzazione delle diverse piattaforme di trasmissione ne ha pregiudicato le potenzialità di crescita e frenato lo sviluppo di nuove offerte televisive». Inoltre Auditel, secondo l’Antitrust, ha “protetto” i canali delle principali emittenti generaliste (Rai e Mediaset): «l’erronea attribuzione dei dati di ascolto anche alle famiglie non dotate di apparecchi televisivi ha inoltre sovrastimato l’audience soltanto delle emittenti non trasmesse sul satellite, beneficiando in tal modo le tv dei principali azionisti di Auditel».
Dunque si è difeso lo statu quo dei poteri della tv italiana.
Tuttavia le critiche al sistema Auditel hanno radici antiche. Nel 2003 ci furono delle proteste da parte delle associazioni dei consumatori. In quel caso fu investito il Tar del Lazio e fu tirato in causa l’Agcom. Tre sigle, Codacons, Adusbef e Federconsumatori, si schierarono contro l’Agcom per l’annullamento di una delibera che concorreva al malfunzionamento di Auditel, in particolare ai «comportamenti omissivi conseguenti all’attività di sondaggio». Inoltre «le ricorrenti, nell’ambito delle proprie funzioni statutarie ed allo scopo di tutelare l’utente televisivo, hanno chiesto di conoscere e di estrarre copia degli atti e documenti relativi alla cura della rilevazione degli indici di ascolto ed alla vigilanza della loro diffusione; e parimenti hanno chiesto che venisse accertato il rispetto da parte dell’Auditel del regolamento adottato in tema di sondaggi e, in caso di necessità, che venissero adottati i poteri sanzionatori previsti dal regolamento stesso». L’Agcom non agì in maniera incisiva. Per l’Autorità «la normativa sui sondaggi non sarebbe applicabile all’Auditel in quanto verrebbero in applicazione normative diverse».
In ogni caso Auditel ha continuato a “zoppicare”. Infatti nel 2006 il consiglio dei Ministri, nell’ambito della riforma della legge Gasparri, sul settore televisivo ha affrontato il tema della riforma del sistema, per garantire trasparenza alle rilevazioni e all’interesse pubblico che esse rispecchino la situazione reale e non gli interessi di una o dell’altra parte.
Tuttavia le pecche dell’Auditel sono rimaste. Anche il procedimento pratico che porta alle rilevazioni non sembra perfetto. La procedura è questa: Auditel installa in oltre 5000 famiglie italiane (per un campione totale di 14000 individui detto panel), un apparecchio rilevatore, detto meter, collegato ad ogni televisore. Ogni membro della famiglia deve segnalare la propria presenza davanti al televisore tramite un particolare telecomando: in questo modo il meter registra sia quale programma è visto, ed anche da chi è visto. Si tratta di un metodo farraginoso che comporta un impegno per il campione di riferimento. Alcune fonti dichiarano che l’80-90% dei cittadini rifiuti di appartenere al panel. Questo comporta che il campione non sarebbe scelto casualmente e non rappresenterebbe la totalità.
Infine una curiosità risalente a 11 anni prima del ricorso di Sky e a 3 del ricorso al Tar delle associazioni dei consumatori. L’episodio fu riportato da La Repubblica e La Stampa. Siamo nel 15 luglio del 200 e, secondo i dati Auditel, tra le 21,03 e le 21,18, più di tre milioni di persone avevano la TV sintonizzata su Rai1, mentre è in onda il segnale orario a causa l’interruzione per pioggia di un programma all’aperto condotto da Mara Venier e Katia Ricciarelli. Auditel smentì.

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