Carta dei diritti on line: chiusa la consultazione pubblica, si aspetta la nuova normativa

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Il 27 febbraio di quest’anno sono scaduti i termini della consultazione pubblica,  avviata lo scorso 27 ottobre, con la quale si consentiva a qualsiasi privato cittadino d’inviare il suo contributo per integrare o modificare i 14 punti che compongono l’attuale bozza della Carta dei diritti on line o, come dicono gli addetti ai lavori, della “bill of right”.
Da oggi, quindi, è lecito sperare che anche il nostro Paese possa approvare una serie di regole che disciplinano l’accesso alla rete,  l’utilizzo e le procedure dei suoi sistemi, la tutela della privacy, il diritto all’oblio e tutto quanto passa, o in qualche modo risulta essere legato, ai nuovi scenari avanzati con l’avvento del web.
Sulla scia degli Stati Uniti, dove circa un mese fa la FCC  ha approvato l’emendamento a favore della net neutrality per il quale è sceso in campo direttamente il Presidente Barack Obama, l’Italia potrebbe fare altrettanto, magari non nei tempi biblici, ai quali ci ha tristemente abituati quando si tratta di legiferare.
Ma facciamo un passo indietro.
Nel lontano 2004 Lucio Stanca,  Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, firmò la legge n°4 del 9.01.2004 che porta il suo nome, fornendo indicazioni sulla necessità dell’accesso alla rete e ai suoi servizi per tutti gli utenti (con particolare riferimento ai disabili e alla fruibilità delle informazioni della PA) equiparando tale diritto al principio di uguaglianza contenuto nell’ex art.lo 3 della Costituzione.
Le stretta correlazione tra libertà di accesso al web e diritti umani fu abbozzata in Francia nel 2009 con quella che poi, nel mese di luglio dello stesso anno, sarebbe divenuta la legge HADOPI, fortemente voluta dall’allora Presidente Nicolas Sarkozy.
In entrambi i casi, però, l’iter non ebbe fortuna: i pionieri italiani videro il congelamento della legge Stanca fino al 2012 mentre, i cugini transalpini se la passarono ancora peggio.
Nel 2013, infatti, un team di esperti del subentrato premier François Hollande contestò aspramente l’HADOPI fino ad arrivare alla sua bocciatura e, nel mese di luglio, la legge fu definitivamente cancellata.
Con la diffusione a macchia d’olio di atti di pirateria informatica e violazione della privacy, tutte le Commissioni e le Autorità preposte, nazionali ed internazionali, si affannarono nella ricerca di svariate soluzioni, nel tentativo di armonizzare, da una parte il web visto sempre più come “open network omnia comprensivo” in continuo aggiornamento e, dall’altra, la libertà dell’utente di usufruire dei servizi internet e del suo spazio virtuale, in totale libertà e sicurezza.
Libertà di pubblicare video, immagini o contenuti, libertà di esprimere opinioni o di condividere informazioni senza alcuna limitazione.
La necessità di proteggere la proprietà intellettuale equiparando l’appropriazione indebita dei furti digitali ad un reato vero proprio (con gravi ripercussioni anche da un punto di vista giuridico-amministrativo) e l’aumento esponenziale di atti di pirateria informatica ai danni di aziende e di privati cittadini ai quali venivano sottratte delicate informazioni e dati sensibili, spinse nel 2013 il giurista Stefano Rodotà, Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, a riprendere l’annosa questione ed elaborare il testo della bill of right.
In effetti, già l’anno prima, il professor Rodotà aveva anticipato alcuni contenuti dell’attuale bozza, nel suo libro “Il diritto di avere diritti” focalizzato proprio sulla legittima possibilità di accesso alla rete affermando la propria dignità in quella sorta di “democrazia digitale”, tanto invocata dal popolo del web.
Sebbene i 14 punti della Carta, passata ora nelle mani del Presidente della Camera Laura Boldrini, non includono tutti i diritti come ad esempio quello della fruibilità dei contenuti legati al copyright delle informazioni, o alla libertà di espressione (principi recentemente auspicati anche dalla Commissione UE per i diritti e i doveri di internet) e nonostante il dibattito molto acceso sul punto 10 che riguarda il diritto all’oblio (particolarmente controverso),  l’augurio è che la discussione presso la Consulta stabilisca rapidamente se il legislatore avrà o meno la facoltà di prendere decisioni importanti e senza precedenti come punire severamente atti di cyber-crime o rimuovere contenuti senza intaccare la libertà personale, giusto per fare qualche esempio.
Già a partire dalle prossime settimane vedremo se la bozza diventerà un emendamento e quando entrerà in vigore o se, ancora una volta, l’Italia non sarà capace di cogliere l’opportunità di darsi “regole serie in tempi certi”.
Gli esperti sostengono che la bill of right, così com’è,  ha bisogno sicuramente di “qualche ritocchino” ma almeno c’è, e la sua approvazione sarebbe utile per dimostrare al mondo intero, la volontà politica del nostro Paese di recuperare quel gap pesante, accumulato soprattutto in questi ultimi anni, a causa del quale l’Italia non riesce ad essere più competitiva, sia a livello globale che nel più“ristretto Vecchio Continente” dove occupa una delle ultime posizioni anche nel settore dell’ it.

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