Cairo, Il Corriere e la finanza all’italiana

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La storia del Corriere della Sera è costellata di alti e di bassi, più bassi che alti negli ultimi anni, diciamoci la verità. La crisi della carta stampata, del modello industriale dell’editoria classica non poteva, chiaramente, non colpire il gruppo di, una volta, Via Solferino.

Ma dopo lo scandalo che coinvolse Angelo Rizzoli, in tempi andati, e Stefano Ricucci più recentemente, sembrava che dalle parti del Corriere fosse arrivato, finalmente, il cavaliere bianco, l’eroe senza ombra e senza macchia, Urbano Cairo. Modello di uomo vincente, delfino di Berlusconi una volta, poi editore in proprio, quando collocò il suo gruppo a Piazza Affari; magnifica l’immagine dell’uomo che entrava in una Borsa.

L’editore puro portava, quindi, una ventata di novità nel panorama editoriale italiano, finalmente un piano industriale che prescinde dagli interessi dei salotti buoni che governano l’editoria, il mantra di molti. Il programma industriale dell’editore torinese non sembrava, in verità, chissà quanto innovativo, i soliti tagli, con i soliti prepensionamenti, solita solfa sulle prospettive del digitale, tanto fumo e poco arrosto.

Ma soprattutto quello che non si diceva è che Cairo era diventato l’editore del Corriere in quanto sostenuto dalle banche, nulla di più, nulla di meno. La rivoluzione copernicana non era null’altro che un piccolo giro di valzer. Ma Cairo ha voluto fare di testa sua, intentare cause che i giudici hanno ritenute temerarie, ristrutturare un gruppo culturale come fosse una bocciofila, con la stessa visione imprenditoriale con la quale ha gestito la sua squadra di calcio, il Torino.

Ora il re è nudo, ma nudo davvero. Ma il rischio reale è chi pagherà il prezzo di questa vicenda a breve. Sarà il Corriere ed i giornali del gruppo RCS, i dipendenti, i lettori e la cultura italiana.

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