APPLE ED IL “LOCATIONGATE”: IN COREA DEL SUD UNA SENTENZA INCRIMINA GLI IPHONE SPIONI

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Le polemiche degli scorsi mesi riguardo la tracciabilità della posizione degli utenti resa possibile da un log sulla versione 4 del sistema operativo iOS di Cupertino, tornano a far discutere. Stavolta l’accusa è partita da un avvocato sudcoreano che il 26 aprile ha denunciato la Mela per aver violato la propria privacy e libertà con i relativi danni emotivi che il tribunale ha riconosciuto, condannando la Apple al pagamento di un risarcimento seppur minimo di 945 dollari e saldati prontamente. L’utente ha poi rincarato la dose lanciando una campagna d’adesione online attraverso un sito creato ad hoc che ha radunato già più di 300 persone.
Per chi non lo ricordasse, i grattacapi per la Apple ebbero inizio con uno studio di O’Really Media che rilevò la presenza sui dispositivi iPhone e iPad di un file di archiviazione non protetto che avrebbe consentito di sincronizzare e tener traccia degli spostamenti di ogni singolo utente. I ricercatori Alasdair Allan e Pete Warden ritenevano che la Apple raccogliesse volontariamente tutte le informazioni dedotte dal sistema di geolocalizzazione addirittura ripristinandole ad ogni successivo backup. Una versione in seguito smentita da Cupertino in una nota ufficiale pubblicata il 27 aprile scorso in cui si spiegava che il tracciamento fosse frutto di un’archiviazione e salvataggio dei dati eseguiti in maniera del tutto anonima. La Mela aveva comunque ammesso che la memorizzazione di un numero eccessivo di informazioni su ciascun dispositivo fosse imputabile ad un bug (un errore) poi corretto con il rilascio della versione gratuita 4.3.3. di iOS volta a risolvere anche il problema relativo al continuo aggiornamento dei dati sulla posizione sebbene il servizio di localizzazione su ciascun device risultasse disattivato.
Certo il fatto che la Apple abbia accettato di pagare per chiudere in fretta il contenzioso, potrebbe costituire una implicita ammissione di colpevolezza da parte dell’azienda. La sentenza del tribunale sudcoreano in parte confermerebbe che gli sforzi fatti da Cupertino per rimediare all’errore potrebbero non essere stati sufficienti oltre a costituire di fatto un precedente giudiziario importante per quegli utenti sparsi in tutto il mondo che si siano sentiti minacciati da un servizio ritenuto troppo invasivo. Specie se in concomitanza con la proposta di legge avanzata da due senatori Usa, Al Franken e Richard Blumenthal, nota come “Location Privacy Protection Act”, provvedimento che intende obbligare tutte le società nel settore mobile a condividere con terzi le informazioni geolocalizzate solo previo esplicito consenso da parte dell’utente. Il permesso del trattamento dei dati dovrà essere inoltre accompagnato da un dettaglio sulle motivazioni e le modalità di impiego delle informazioni. Il cd “Locationgate”, insomma, è un caso ancora aperto negli Usa e potrebbe continuare a dare non pochi grattacapi alla Apple così come ai dispositivi Android di Google.
Manuela Avino

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