Agcom, l’editoria in dieci anni ha dimezzato i ricavi

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Il mercato dell’editoria è in perdita, l’Agcom scatta una fotografia impressionante del calo del settore. Che si stabilizza attorno a una percentuale quantificata nel 27% che, in soldoni, fanno la somma di poco più di un miliardo di euro. Il fatturato di tutto il settore perde terreno, e molto anzi troppo. Le misure per sostenere un settore fondamentale dell’economia del Paese, che rappresenta anche la concreta applicazione di diritti costituzionali basilari per una democrazia moderna e compiuta, non possono attendere oltre.

I dati dell’Agcom parlano chiaro. Rispetto al 2016, l’editoria quotidiana e periodica ha registrato una flessione nei ricavi che portano il giro d’affari complessivo del 2020 a 3,28 miliardi di euro a fronte dei 4,5 miliardi di cinque anni fa. La flessione annua media è stata del 7,6 per cento. La più pesante si è registrata proprio tra il 2016 e 2017 quando, in termini percentuali è stato bruciato il 13,1% dei ricavi. Altro tonfo nel 2019 quando i ricavi sono caduti del 14,6% a causa del Covid e delle restrizioni conseguite alla pandemia.

A pesare sono i dati relativi alla pubblicità. Che, da soli, rappresentano una delle voci maggiori dei cosiddetti ricavi domestici delle aziende editoriali italiane. In cinque anni, si è perso il 30% del mercato. La variazione tra il 2019 e il 2020 è stata quantificata da Agcom in poco più del 17 per cento.

Se si prende in considerazione il medio periodo, e quindi si passa dal considerare due lustri invece che un quinquennio solo, le dimensioni del disastro sono incontrovertibili. Il giro economico attorno ai giornali e all’editoria si è più che dimezzato: passando da 6,2 miliardi a una prospettiva inferiore ai tre miliardi di euro. Per dirla coi numeri, il 52% in meno.

Le cifre snocciolate da Agcom si ripercuotono, chiaramente, sull’occupazione nel settore dell’editoria. Che fa registrare una flessione superiore al 4 per cento. Eppure bisognerebbe valutare la “qualità” degli occupati nel settore, per la stragrande maggioranza composta da precari, partite Iva, co.co.co e altre formule che paiono sicuramente distanti dal “posto fisso” e dal mondo, sempre più rarefatto, degli “articolo 1”. La situazione, dunque, non è certo rosea. E i numeri non mentono, svelando l’assoluta necessità per le istituzioni di intervenire subito. Perché non si perderebbero solo delle aziende ma si zittirebbe, per sempre, la voce di tanti, troppi, cittadini.

 

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