AGCOM, ECCO PERCHÉ LE NOMINE SONO IN MANO AI PARTITI

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Sull’ Agcom ci si gioca più del nome del Presidente. La nomina dei quattro commissari, prevista per ieri, ma rimandata al 6 giugno, sarà di fatto il banco di prova della capacità del Parlamento (e soprattutto delle segreterie dei partiti) di selezionare i candidati non per fedeltà politica, ma per competenza in uno dei gangli più cruciali per lo sviluppo del mercato italiano delle comunicazioni. Di fatto proprio la nomina dei commissari, e in particolare del quarto sostanzialmente in mano al Terzo Polo, sarà la vera cartina tornasole di quanto gli attuali schieramenti politici siano all’altezza delle proprie dichiarazioni di rinnovamento e dedizione al futuro meritocratico del Paese.

“ Non possiamo andare avanti con la logica dei fogliettini”, è sbottato ieri a Radio Radicale il deputato del Pd Arturo Parisi, denunciando un sistema che “funziona in base all’esistenza di tavoli sui quali i capi partito o i loro rappresentanti decidono all’oscuro, comunicando innanzitutto ai parlamentari e poi ai cittadini le loro decisioni con dei foglietti su cui sono indicati i nomi che ci spingono a trascrivere, nomi di persone di cui il più delle volte non conosciamo competenze se non l’incapacità di svolgere il loro lavoro in autonomia”.

Il problema è che il sistema delle nomine di Agcom sembra disegnato apposta per funzionare solo quando ci sono accordi precostituiti. I meccanismi di nomina dei vertici di Agcom, pubblicati lunedì in GazzettaUfficiale e quindi in vigore da ieri, lo mostrano chiaramente. La poltrona di presidente, di cui Wired ha scritto ieri, andrà con ogni probabilità al montiano Angelo Maria Cardani, perché per legge la carica è assegnata “con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministro delle comunicazioni”.

Difficile vedere alternative (anche quella del preparatissimo StefanoQuintarelli, tecnico e professionista della Rete al quale Wired ha già dato il suo endorsement pubblico) visto che Cardani è stato nel gabinetto di Monti quando era commissario europeo e la nomina è di stretta pertinenza della Presidenza del Consiglio. Restano le poltrone dei commissari, la cui riduzione da otto a quattro lo scorso marzo ha acceso una battaglia degna delle più dense pagine del manuale Cencelli. Per legge infatti “il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati eleggono due commissari ciascuno” e “ciascun senatore e ciascun deputato esprime il voto indicando un nominativo per il consiglio”.

La garanzia della scelta dei migliori commissari possibili per alcuni è la trasparenza delle candidature, una questione posta con forza nelle settimane scorse dalla campagna Vogliamotrasparenza promossa dalla Open Media Coalition e da 70 parlamentari, capeggiati da Beppe Giulietti (Gruppo Misto) e Linda Lanzillotta (Alleanza per l’Italia), contrari a votare senza un dibattito pubblico sui candidati. Guardando la composizione del Parlamento, e la spaccatura creata dai 70 trasparentisti , è però facile capire che nessuno ha i numeri per vincere senza un accordo a monte. I fogliettini appunto, che tanto fanno infuriare Parisi.

Con il sistema disegnato dalla legge pubblicata lunedì (la 29 del 24 marzo 2012), votare senza accordi precostituiti presenta infatti un altissimo rischio di dispersione dei voti con esiti che fanno temere sorprese in stile Parma a 5 stelle per i partiti meno forti come il Terzo polo e la Lega. Se l’accordo pre-votazione è inevitabile, che cosa succede allora con lo slittamento delle votazioni al 6 giugno? Di fatto si rilanciano le negoziazioni e, se ci sarà vera trasparenza, sulle candidature si misurerà la virtù degli schieramenti in campo. Di fatto una poltrona sembra in quota Pdl, dove uno dei nomi più quotati è l’ex dirigente Fininvest Antonio Martusciello; una in quota Lega che spinge Giovanna Bianchi Clerici già Cda Rai e possibilmente gradita al Pdl; mentre Maurizio Décina e Antonio Sassano sembrano i due nomi sul tavolo della segreteria Pd. Resta la quarta poltrona, tecnicamente in mano al Terzo polo da cui si attende un nome di vaglia.
Manuela Montella

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