VITA (PD): “ORA REGOLE CERTE PER L’EDITORIA”

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“Sono ottimista, le riforme non si fanno nei cimiteri e anche quella del fondo dell’editoria non potrà fare eccezione”. Il senatore del Pd Vincenzo Vita, dopo un periodo funereo, per la prima volta parla di un futuro reale per la piccola editoria italiana “In aula al Senato ripresenteremo il nostro emendamento per integrare per almeno 80 milioni di euro la dotazione per il 2011 e per il futuro regole precise ma anche l’istituzionalizzazione di questa erogazione di cui non ci si deve affatto vergognare: anche Sarkozy in Francia proprio quest’anno ha deciso di stanziare 200 milioni di euro per salvaguardare i giornali in crisi e quelli delle minoranze politiche”.
Senatore Vita non teme di incorrere negli strali dell’antipolitica? No, io penso che i giornali che percepiscono questi fondi e ne abbiano diritto non abbiano nessun motivo di vergognarsi né i politici debbano trovarsi in imbarazzo a difendere il pluralismo dell’informazione.
Altra cosa sono le truffe passate, presenti e future, ma non si può mica buttare il bambino con l’acqua sporca. Eppure anche oggi “Il Corriere della sera”, recensendo un libro di Elio Veltri, ha proposto un approccio scandalistico a questi finanziamenti.. Il problema è la mancanza di regole certe.
Ogni anno ci sono tagli, appelli, elemosine. Così non si può andare avanti. Chi ha diritto percepisca in base a regole certe, ad esempio i lavoratori occupati, la proporzione tra copie stampate e diffuse, con le opportune differenziazioni e altri ancora. Gli altri vengano esclusi. Ma chi ha diritto deve avere certezze, se lei andasse in banca a chiedere un mutuo e ogni sei mesi lo stipendio cambiasse il mutuo le verrebbe tolto.
Cosa non ha funzionato della legge che nel 1990 venne varata per difendereil pluralismo dell’informazione dal duopolio Rai-Mediaset? Negli anni, senza regole precise molte altre pubblicazioni, e molti imprenditori, alcuni dei quali, si sarebbe poi scoperto, un po’ truffaldini, si sono attaccati a quel carrozzone.
Ed ecco come si è arrivati all’attuale situazione caotica. Ora bisogna mettere un punto fermo. Tenendo presente però che il pluralismo è un valore costituzionale e l’articolo 21 della Costituzione va difeso sempre e non a intermittenza. Un noto blogger del “Il Fatto quotidiano”, Vincenzo Iurrillo, ha preso una posizione contro corrente difendendo questi finanziamenti, argomentando che in realtà in Italia un libero mercato dei giornali e dell’informazione non esiste.
.. La richiesta di varare i criteri di erogazione ancorandoli alle due categorie rigorose del numero degli occupati contrattualizzati e il rapporto percentuale tra tiratura, diffusione e vendita mi sembra la soluzione giusta. Ho letto anche io quell’articolo di Iurrillo dello scorso 17 dicembre e convengo con il paragone con il calcio scommesse: non è che si può abolire il campionato di calcio, magari si puniscono le squadre e i giocatori.
Cosa potrebbe cambiare ancora in una vera riforma del settore? Si dovrebbe aggredire anche il tabù della raccolta pubblicitaria. In un clima di liberalizzazioni e di guerra alle lobbies che immobilizzano il paese, io penso che il governo Monti potrebbe benissimo non guardare più in faccia nemmeno a quella pubblicitaria.
Quindi bisognerebbe fare un vero e proprio anti trust sulla pubblicità, con una norma di riequilibrio che possa dare risorse in più alla carta stampata. Altrimenti come potremo uscire più da questa sorta di incubo per cui ogni sei mesi nostre delegazioni politiche miste composte da politici come il sottoscritto, Giulietti, Gentiloni e pochi altri ancora, insieme a alcuni direttori dei giornali interessati, sono obbligati recarsi in pellegrinaggio elemosinante a palazzo Chigi per chiedere “per cortesia non sopprimete il fondo per l’editoria”.
Per non parlare dei rapporti con le banche? Ma certo questo fondo deve diventare stabile, molto più rigoroso, con criteri di assegnazione certi e trasparenti, se un singolo chiedesse un mutuo e ogni sei mesi il suo stipendio venisse tagliato la banca a un certo punto chiederebbe il rientro immediato e anche questo è un problema.
E dico di più: una volta portati questi aggiustamenti per cortesia non si parli più in maniera così demagogica di “soppressione del fondo per l’editoria”. Mi sembra un po’ la stessa cosa che è successa con il Fondo unico per lo spettacolo: a causa di alcuni scandali qualche ministro ha pensato bene di farsi bello e di tagliare in maniera selvaggia il Fus, magari anche per dare un segnale, una strizzata d’occhio, alle piazze dell’antipolitica.
Torniamo, dalla filosofia e dalla storia, alla cronaca di questi giorni. I soldi per il 2011, quegli 80 o 100 milioni di euro che mancano a garantire la stessa erogazione che per il 2010, dove si pensa di prenderli? Nell’emendamento che ripresenteremo in aula al Senato, allorché il “milleproroghe” riprenderà il proprio corso, abbiamo individuato una serie di rivoli di spesa che possono essere razionalizzati e da cui si fa presto a fare spuntare cento milioni di euro per la tutela del pluralismo editoriale e dell’occupazione.
Se non fosse possibile abbiamo già chiesto al sottosegretario Paolo Peluffo, che è la persona giusta al posto giusto in questo momento, di attivarsi per un decreto della presidenza del consiglio dei ministri affinché sia sbloccato l’ex fondo Letta, adesso Monti, che contiene anche una voce per il sostegno all’editoria grazie a un emendamento bipartisan che passò nell’ultima finanziaria di Tremonti nello scorso agosto.
Inoltre c’è la vexata quaestio dell’Iva dei giocattoli e delle cianfrusaglie di ogni tipo, gadget et similaria, venduti in edicola: perché deve essere agevolata come quella dei prodotti editoriali?

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