L’esigenza di ricerca del testo di un verbale, formato dalla polizia giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale per rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e coperto da segreto istruttorio, non può rappresentare ragione sufficiente per l’adozione di un provvedimento di sequestro probatorio che, in quanto avente ad oggetto l’intero contenuto del computer in uso a giornalista, non indagata, nonché l’area del server gestita dalla giornalista stessa, assuma in realtà finalità esplorative. La Corte ha precisato che la particolare posizione del destinatario e la conseguente necessità di evitare che l’acquisizione di tutto il materiale informatico posseduto ed inerente alla professione possa detrminare indiscriminate ed inutili intrusioni, comportano, da un lato, la necessità che il provvedimento evidenzi e valorizzi lo stretto collegamento tra le res da apprendere ed il reato oggetto di indagini e, dall’altro, la massima cautela nell’utilizzazione degli strumenti della perquisizione e del sequestro onde evitare un sostanziale aggiramento della disciplina posta a garanzia del segreto professionale ed in particolare, a norma dell’art. 256 cod. proc. pen., la possibilità, riconosciuta al giornalista, di consegnare il documento ricercato ovvero di opporre il segreto. (Nella specie, avente ad oggetto un ricorso avverso l’ordinanza con cui il tribunale aveva dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, la richiesta di riesame del decreto di sequestro probatorio, la Corte, pur in presenza di provvedimento che, per essersi risolto nella duplicazione dell’hard disk del computer e della cartella con restituzione degli “originali”, non aveva comportato l’asportazione di alcun bene materiale, ha preliminarmente ritenuto sussistente comunque l’interesse del giornalista a far verificare che l’uso del mezzo tendente all’acquisizione della prova fosse avvenuto nei casi ed entro i limiti previsti dalla legge).
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