Poste Italiane e giornali: 50 milioni l’anno per un servizio inesistente

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Postino affaticato durante la consegna dei giornali, simbolo dei disservizi nella distribuzione della stampa

La crisi dei giornali è innegabile. Le copie sono crollate, l’abitudine di leggere il giornale di carta una sorta di vezzo da boomer. Ma anche trovare i giornali è diventata un’impresa, hanno chiuso decine di migliaia di edicole, spesso la ricerca di una aperta è diventata attività ginnica, passeggiata lunga, lunghissima.

E poi in Italia i giornali si compravano praticamente solo in edicola perché riceverli a casa era un’impresa impossibile, l’abbonamento un atto di fede. Perché le Poste in questo settore hanno sempre fatto battaglia solo pro doma lora, facendo finta di tenere le tariffe basse, prendendo un generoso rimborso dallo Stato. Il che significa che il costo di spedizione non è mai stato basso, ma il recapito dei giornali è stato trattato alla stessa maniera della famiglia Agnelli, come qualcosa di cui disfarsi.

I disservizi nella consegna dei quotidiani e dei periodici non sono una novità, perché sono sempre stati la regola. Ritardi sistematici, copie che arrivano quando la notizia è ormai vecchia, numeri che non arrivano affatto. Un problema cronico che ha disincentivato per anni editori e lettori dal puntare sulla distribuzione domiciliare. Così, mentre le edicole chiudono, non esiste un canale alternativo efficiente. Un capolavoro di inefficienza tutta italiana.

Il paradosso è che la spedizione dei giornali rientra nel servizio universale. Non è un favore agli editori, non è una gentile concessione. È un obbligo. Proprio per questo motivo lo Stato riconosce a Poste Italiane circa 50 milioni di euro l’anno per garantire la distribuzione di quotidiani e periodici su tutto il territorio nazionale.

E qui nasce la domanda più scomoda: perché continuiamo a pagare per un servizio che non funziona?

Il quadro diventa ancora più grottesco se si considera che Poste Italiane è una società a controllo pubblico. Lo Stato paga sé stesso per assicurare un servizio che lo stesso Stato non riesce a far rispettare. Nel frattempo, gli editori perdono lettori, i cittadini rinunciano all’informazione cartacea e la democrazia locale si indebolisce.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. In molte aree del Paese, soprattutto nelle zone interne, il giornale non arriva più. Non in edicola, perché ha chiuso. Non a casa, perché la consegna è aleatoria.

Si potrebbe sorridere, se non fosse tragico. Un sistema che finanzia la distribuzione dei giornali ma non garantisce che vengano distribuiti davvero è l’emblema di una politica pubblica che ha perso il senso della realtà. E intanto si discute di pluralismo, di crisi dell’editoria, di lettori che non leggono più.

Forse il problema non è che gli italiani non vogliono leggere i giornali.
Forse è che i giornali si perdono per strada, insieme alle responsabilità di chi dovrebbe vigilare.

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