Ormai lo spauracchio della Rai non è più Mediaset ma Sky. La piattaforma di Murdoch, dopo averlo sfondato, si è ormai stabilizzata sul tetto degli otto milioni di ascoltatori.
Per incrementare i guadagni, allora, la Rai pensa di combattere l’evasione del canone, oggi al 25% rispetto a una media europea del 10. Di aumentarlo per ora non se ne parla, anche se «ci sono una serie di fattori strutturali che giustificherebbero una crescita del gettito». Gli altri guai di viale Mazzini sono sintetizzabili nello squilibrio fra ricavi e costi, nella «perdita di flessibilità del palinsesto» e nell’indebolimento delle «competenze editoriali», con una quota di collaborazioni esterne dell’11% all’anno nell’ultimo quadriennio, e in costante lievitazione.
La ricetta-minestrone per il rilancio dell’azienda pubblica è quindi costituita da quattro target rafforzare e innovare l’offerta per mantenere la leadership nella tv generalista; presidiare le nuove piattaforme per “traghettare” la Rai verso il mondo digitale; razionalizzare il capitale investito e la struttura organizzativa; ristabilire una dinamica costi-riavi sostenibile. Ma oltre al digitale terrestre, la Rai deve rafforzare il «posizionamento» sul satellite.
Come? L’idea è che l’azienda, già presente su Sky con una propria offerta gratuita, dovrà ampliare il bouquet di canali a pagamento sulla piattaforma di Murdoch. Invece di tentare la concorrenza diretta a Sky, insomma, si pensa a una specie di Cavallo di Troia. Nella speranza che Rupert e i suoi non se ne accorgano.
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