Altolà di Fini e Bossi a Berlusconi. Niente fiducia sulle intercettazioni. Non solo: modifiche congrue per incassare, quando si andrà in aula martedì 10 marzo, il voto favorevole dell’Udc e spaccare l’opposizione.
Le condizioni poste da Gianfranco Fini erano state anticipate da Giulia Bongiorno, relatrice del provvedimento e presidente della commissione Giustizia, in una lettera al presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca. Maggiori garanzie per il diritto di cronaca con un’anticipata discovery degli atti (rispetto al black out fino al processo) che consenta di raccontare cosa avviene nei palazzi di giustizia e cosa fanno e come lavorano i pm. La soluzione: si può pubblicare, ma solo per riassunto, quindi senza verbali e intercettazioni, tutto quello su cui cade il segreto, cioè quando le carte vanno in mano agli avvocati. Niente da fare per l’emendamento Bergamini: restai il carcere da uno a tre anni per chi pubblica intercettazioni destinate alla distruzione. Si attenuano invece i “gravi indizi di colpevolezza” per ottenere gli ascolti che diventeranno o “sufficienti”, o “rilevanti”, o “oggettivi”, comunque con una formula differente rispetto ai “gravi indizi” richiesti per una misura cautelare.
E la fiducia? Alfano non la esclude: “È presto. Ci vogliono ancora più di dieci giorni. La questione adesso è un’altra. Sistemare il testo in modo da cercare una convergenza con l’Udc che è il nostro interlocutore privilegiato. Domani chiamerò Michele Vietti e parlerò con la Lega”.
Restano gli interventi critici di deputati cui era stato raccomandato di non presentare emendamenti. Eccoli, in fila. Gaetano Pecorella vuole evitare “fumus di dubbia costituzionalità”; Angela Napoli non accetta “una legge che aiuta alla criminalità”; Manlio Contento vuole attenuare i “gravi indizi”; Giancarlo Lehner chiede che “non si facciano errori politici contro i giornalisti”.






