“Un monito”: Francesca Albanese non s’è inventata niente, è la sintesi perfetta di decenni passati a scalfire, con tanto populismo e un pizzico di filosofia a buon mercato, diritti base, libertà che sembravano acquisite. Ma che, evidentemente, non lo sono. Dopo l’assalto dei manifestanti Pro-Pal alla redazione de La Stampa, Albanese s’è prodotta in un difficile, e pericoloso, esercizio. Una riedizione, se volete, del “sì ma anche no” di veltroniana memoria. Ma, chiaramente, molto più rischioso.
“Condanno l’accaduto ma che serva da monito”, ha detto Albanese. Monito a cosa? A evitare di scrivere ciò che si pensa perché poi domani chissà chi verrà in redazione a far casino? Sacrificare la libertà di opinione, pensiero sotto la minaccia della violenza o della piazza? Il pluralismo è davvero sacrificabile sull’altare della sicurezza, o del politicamente corretto o di qualunque altra causa. E se lo fosse, se ciò fosse ammissibile, quale democrazia costruiremmo?
Costruiremmo un progetto autoritario, sia ben chiaro. Perché la democrazia è proprio l’agorà delle idee che si confrontano, trovano una sintesi e innervano la vita comune. È difficile ma proprio questa è la cifra di una democrazia rispetto a un più semplice “regime” in cui c’è già chi pensa per tutti. Le parole di Albanese servono. Al dibattito. Sono utili anzi necessarie. Perché da esse emerge, in controluce, il valore inestimabile della libertà. Della democrazia. Il tesoro del pluralismo. L’unico vero monito ce lo dà, Albanese, senza volerlo. Difendere i giornali non è, come cantavano e urlavano (e lo fanno ancora…) certi personaggi in cerca d’autore. Spinti a sbraitare dai social. Difendere i giornali è difendere la democrazia, il pluralismo e la libertà.
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