DDL DIFFAMAZIONE, CONFUSIONE IN SENATO. LA FNSI PREPARA UNA PROTESTA E CHIEDE UN INCONTRO COL GOVERNO

0
783

La Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana) prepara una protesta e chiede un confronto col governo sul ddl diffamazione, nato per eliminare la pena detentiva per i reati di diffamazione. Franco Siddi, segretario dei sindacato: «È una legge liberticida. Si rischia l’autocensura». Intanto Marco Travaglio, dalle pagine dell’Espresso, invita a distinguere gli errori in buona fede dai “diffamatori seriali”.
Il provvedimento, nato in seguito alla condanna di Alessandro Sallusti a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata e omesso controllo, tornerà martedì in commissione Giustizia. Il Senato non riesce a partorire un accordo. Troppi emendamenti contrastanti, troppe “fronde” opposte. E la legge, la cui genesi si annunciava rapida ed indolore, si è arenata in Parlamento.
Marco Travaglio, sull’Espresso, ha scritto che , viste le premesse, sarebbe meglio tenersi la legge del 1948. «Finché non avremo una serie legge sui conflitti di interesse e sulle incompatibilità del sistema dei media, teniamoci stretta la “vecchia” legge. Carcere “virtuale” compreso». Il vice direttore de Il Fatto quotidiano sottolinea la confusione che regna a Palazzo Madama. Per Travaglio bisogna distinguere, innanzitutto, il reato vero di diffamazione, ovvero l’attribuzione di un fatto determinato falso e infamante, dal giudizio critico soggettivo e, quindi, legittimo. Mentre in Parlamento si rischia di fare confusione tra le due evenienze. Inoltre ci sarebbe da differenziare la diffamazione “dolosa” da quella accidentale e in buona fede. In effetti non è raro, in Italia, un uso strumentale e politico della stampa. In tal caso, il carcere ci potrebbe stare. Tutt’altra discorso vale per gli errori, le imprecisioni, le mancanze fatte in buona fede. In questi casi una rettifica documentata e una moderata e ponderata sanzione (pecuniaria e/o disciplinare) può e deve bastare. Per Travaglio accomunare i due casi sarebbe un errore. Nel caso in cui venisse abrogato il carcere tout court il «killer diffamante» sarà disposto a tutto (e quindi anche a condurre una campagna diffamatoria sistematica e punitiva nei confronti dell’avversario di turno) «tanto poi a pagare c’è il padrone-mandante». Se invece ci sarà il carcere, il giornalista sicario ci penserà due volte prima di “sparare a zero”, visto che la detenzione vale solo per l’autore materiale dell’articolo. In effetti l’osservazione di Travaglio non è peregrina. E non è detto che il ddl si plasmerà anche grazie a tali ipotesi.
Tutto ancora può succedere a Palazzo Madama. Ed è proprio questa ampia possibilità di sfaccettature che preoccupa molti addetti ai lavori e la stessa Fnsi. Infatti il sindacato dei giornalisti, lunedì prossimo, organizzerà una protesta. E l’occasione non manca. Infatti dopodomani la Federazione europea dei giornalisti (Efj), di cui la Fnsi la parte, organizzerà un incontro intitolato “ Stand up for journalism”. E il sindacato italiano porrà sul tavolo la questione ddl diffamazione. Parteciperanno all’incontro i direttori dei più noti quotidiani italiani, senza distinzione “di razza”. Scenderanno in campo Ferruccio De Bortoli (direttore del Corriere della sera), Maurizio Belpietro (direttore di Libero), Mario Orfero (del Messaggero), Mario Sechi (del Tempo), Claudio Sardo (dell’Unità). E per la radiotelevisione ci sarà Corradino Mineo (di Rai News), Antonio Preziosi (di Radio 1 e del Gr). A coordinare la protesta ci sarà Franco Siddi, segretario generale della Fnsi. «Martedì prossimo tornerà in commissione Giustizia un ddl dai contorni poco chiari. Si tratta di una legge liberticida che disincentiva il giornalismo d’inchiesta e la rende una professione pericolosa e a rischio di autocensura».
Tuttavia sembra strano che Siddi intraveda già i lineamenti di una legge che, allo stato attuale, è del tutto amorfa. In Senato sono arrivati più di cento emendamenti, molti dei quali a dir poco discutibili ed incoerenti. E più volte si è virato sui punti cardine del provvedimento, sull’entità delle multe, sulle sanzioni disciplinari, sulla estensione della norma al web. Insomma si è fatto e si è “sfatto” tante volte. E poi, quando sembrava avvicinarsi la conclusione dell’iter a Palazzo Madama, ecco che nuovi emendamenti hanno vanificato tutto. Dunque, allo stato attuale, nulla è certo. Forse nemmeno che venga tolto il carcere. La richiesta del voto segreto sull’articolo 1 (che regola appunti la galera e le sanzioni pecuniarie) impugnata da Francesco Rutelli ne è un esempio.
Ma la Fnsi già intravede esiti disastrosi: «È in atto una ritorsione dei politici verso i giornalisti e ogni forma di informazione irriverente. Si rischia una legge bavaglio. Per riparare alla diffamazione basta pubblicare una rettifica documentata e non un risarcimento che invoglierebbe a cause temerarie ed intimidatorie».
Per la Fnsi è la rettifica il punto cardine su cui impostare la lotta alla diffamazione. Ma chi deciderà come e quando pubblicarla? Viene da sé che la rettifica ha senso se fatta entro pochi giorni la pubblicazione dell’articolo diffamatorio. Ma chi deciderà, in quel breve lasso di tempo, se va accettata o meno la richiesta del presunto diffamato?
Siddi ha proposto la creazione di un Giurì dell’informazione che decida in tempi rapidi la controversia. E non si esclude anche il ricorso alla magistratura. A proposito la Fnsi ha anche chiesto un incontro chiarificatore col governo, sempre lunedì, alle 10,30 presso la sede romana e milanese del sindacato.
Non c’è che attendere martedì per una nuova puntata sulla tormentata genesi del ddl diffamazione.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome