COMUNICATO DEL CDR DI LIBERAZIONE (LIBERAZIONE)

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Sino al 14 marzo. E’ l’ennesima ultima data che l’Mrc spa ha comunicato ai suoi dipendenti, per avviare le trattative che dovrebbero risolvere una situazione economica grave; ma evidentemente non così grave da impedire all’azienda di rinviare ancora il negoziato. Sembra un paradosso, soprattutto ripensando a quanto successo in questi mesi.
Prima settimana di agosto: il neosegretario del Prc, partito editore di Liberazione, Paolo Ferrero, in assemblea con noi dice che la situazione economica del giornale necessita di un drastico intervento, non ancora quantificabile. Serviranno uno sciopero, un sit-in, i nostri interventi alle feste di partito per ottenere che, a metà settembre, davanti a telecamere e giornalisti nonché ai rappresentanti di Fnsi e Stampa Romana, che Paolo Ferrero tomi in redazione e comunichi che il buco di bilancio si attesta intorno ai 4 milioni e mezzo, cifra rivedibile al rialzo nel caso in cui la riforma dei contributi pubblici colpisse i giornali di partito. Seguono giorni di discussioni con l’allora amministratore delegato Roberto Prosciutti, che però si dimetterà per “motivi personali”.
Dopo altre settimane il presidente del Cda, Sergio Bellucci, ci propone un giornale a foliazione ridotta senza free press, rinunciando ai colleghi con contratti a termine e intervenendo sull’organico con un taglio del 55%. La redazione protesta. La proprietà e l’amministrazione si prendono altre 2 settimane per stilare un nuovo piano e premono per entrare al più presto in uno stato di crisi secondo la legge 416.
Siamo a novembre. Nei giorni successivi, i due colleghi precari Davide Vari e Monia Cappuccini vedono scadere i loro contratti e lasciano la redazione. La free press cessa di esistere il 18 dicembre e altri 4 colleghi, più 2 poligrafici, perdono il posto di lavoro. Vicini alle ferie natalizie, arrivano finalmente un piano editoriale scritto dall’allora direttore Piero Sansonetti e un piano aziendale messo a punto dall’allora Cda. Piani che il Cdr e l’assemblea dei giornalisti valutano un punto di partenza per la famosa, attesa trattativa.
Il 23 dicembre, invece, la direziono del Prc boccia i piani, con la motivazione che il costo del lavoro sarebbe comunque rimasto troppo alto e l’obiettivo di pareggio di bilancio nel 2009 non sarebbe stato raggiunto. Non solo: Paolo Ferrero rivela l’esistenza di un editore – di cui in un primo momento si rifiuta di fare il nome – interessato a comprare Liberazione. Seguono le rassicurazioni del segretario del Prc circa la chiusura della trattativa con l’editore, la cui identità è rivelata dai giornali, nell’arco di 2 settimane. E Ferrero aggiunge che intanto il partito si impegna a coprire ogni ulteriore deficit. Nel frattempo, il partito decide anche di sfiduciare il Cda, nominando amministratore unico il tesoriere del Prc stesso, Sergio Boccadutri.
Arrivati a gennaio 2009, i possibili acquirenti diventano due: ma nessuna luce sulle reali intenzioni, loro come del partito. L’unica decisione comunicata è il licenziamento del direttore e la nomina della nuova direzione. Per la terza volta. Ferrero si presenta in assemblea rassicurando su una soluzione a breve dei nostri problemi. Da allora a oggi, solo rinvii. Di 15 giorni in 15 giorni.
Ad oggi sappiamo che: su Liberazione pesa ancora la minaccia di una situazione economica al limite del collasso; dall’inizio di questa vicenda si è perso tempo, cioè denaro che poteva servire a garantire i diritti dei lavoratori in organico, di quelli che in organico non ci sono più e dei collaboratori che non vengono pagati; che l’affidabilità dell’azienda è quanto meno opinabile, visto anche l’ultimo problema sorto, ossia il calcolo errato degli stipendi (per difetto) sin dalla fondazione di questi giornale. Le elezioni europee sono vicine e, per ammissione dello stesso Prc, saranno uno snodo fondamentale per il futuro sia politico che economico del partito e del giornale.
Avvisiamo la proprietà che noi non siamo disposti a trattare sul nostro futuro in base alle contingenze elettorali. L’azienda si è presa altri dieci giorni, sino al 14 marzo. Sia chiaro che questi giorni debbono essere utilizzati per dare corso agli atti dovuti su retribuzioni e organico, che non sono e non possono essere oggetto di scambio. E debbono servire per affacciarsi finalmente all’orizzonte d’un risanamento e d’un rilancio del giornale. Il che significa, evidentemente, non solo l’avvio d’una trattativa ma la dimostrazione di volerla portare a buon fine, avanzando cioè proposte non irricevibili. Tanto più in tempi fattisi oramai strettissimi e mentre già l’accesso alla 416 rischia di trasformarsi in una lotteria, con una lunga coda di stati di crisi già richiesti da altri soggetti editoriali. L’infondatezza del nostro sospetto che si voglia trascinare questa situazione sin oltre il “giro di boa” del 6-7 giugno, così come della necessità per il Cdr di attingere ai 9 giorni di sciopero ancora disponibili dal pacchetto affidato dalla redazione, è tutta da dimostrare: farlo, spetta all’editore Mrc Spa e all’azionista unico, il Partito della Rifondazione Comunista.
Il Cdr e l’assemblea dei giornalisti di Liberazione. (Dalla rassegna stampa ccestudio.it)

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