Un’idea che mette in discussione un principio democratico
Da qualche anno ricorre l’idea di rilasciare patenti di qualità ai contenuti giornalistici. E da ultimo Emmanuel Macron ha rilanciato l’ipotesi di creare un sistema che distingua i media “affidabili” da quelli che non lo sarebbero. L’obiettivo dichiarato è combattere la disinformazione. L’effetto reale, però, rischia di essere molto diverso.
In democrazia non possono essere certo i governi a stabilire quali giornali meritano fiducia. È la stampa che controlla il potere, non il contrario. Ogni volta che questo equilibrio si inverte si apre un varco pericoloso.
Quando la politica vuole giudicare i giornali
L’idea di Macron non nasce nel vuoto. Da anni molti leader parlano di marchi, etichette o bollini di qualità. Anche in Italia c’è stato un tentativo simile. L’ex sottosegretario all’editoria Andrea Martella propose di creare una commissione per valutare i giornali.
Il problema è semplice: chi decide se una testata è “affidabile”? E secondo quali criteri?
Una commissione nominata dalla politica non può essere davvero neutrale. Il rischio di condizionamento è evidente e immediato.
Una certificazione può diventare uno strumento di controllo
Un sistema che distingue i media “buoni” da quelli “cattivi” può sembrare una tutela. In realtà può trasformarsi in un dispositivo di selezione. Un governo potrebbe favorire le testate che gli sono vicine e isolare quelle critiche. È un meccanismo lento, ma molto efficace. Prima si introduce un criterio tecnico. Poi si stabilisce chi lo rispetta. Infine, si crea un’informazione graduata. Alla fine, ciò che non ha il “bollino” viene percepito come meno credibile.
È una deriva che riguarda tutta l’Europa e che tocca il cuore del pluralismo.
La qualità dell’informazione nasce nelle redazioni, non nei ministeri
La vera garanzia per i cittadini non è una certificazione statale. È il lavoro dei giornalisti. La qualità dipende dalla verifica delle fonti, dalla trasparenza, dall’indipendenza delle redazioni e dal rispetto delle regole deontologiche. Un marchio imposto dall’alto non misura la qualità, ma la conformità. E questo è incompatibile con l’idea stessa di stampa libera e pluralista.
Un pericolo anche per i piccoli editori
Una classificazione ufficiale rischia di colpire soprattutto le realtà più indipendenti. Le cooperative giornalistiche e i piccoli editori vivono di autonomia e credibilità. Non hanno alle spalle gruppi industriali o finanziari. Proprio per questo possono svolgere un ruolo essenziale.
Se lo Stato introduce un sistema che premia alcune testate, i piccoli rischiano di essere schiacciati. Non per mancanza di qualità, ma per mancanza di riconoscimento istituzionale. È un danno culturale prima ancora che economico.
Una democrazia non può delegare al governo la definizione della “buona informazione”
Il dibattito avviato da Macron mostra quanto il terreno sia scivoloso. La lotta alla disinformazione è un obiettivo condiviso. Ma gli strumenti contano. Se la politica decide quali media sono affidabili, la democrazia cambia natura. Il pluralismo diventa una concessione e non un diritto. È un precedente pericoloso. E riguarda l’Europa, l’ultima frontiera dove i principi democratici risultano ancora meritevoli di attenzione.







