Le sanzioni milionarie a Sky non risarciscono gli utenti

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L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha comminato a Sky una sanzione complessiva di diversi milioni di euro per pratiche commerciali scorrette. La notizia, rimbalzata su tutte le agenzie, riguarda la gestione degli aumenti di prezzo degli abbonamenti e alcune modalità di comunicazione giudicate ingannevoli nei confronti degli utenti. È un provvedimento rilevante, ma che pone una domanda più ampia sul reale impatto delle sanzioni nel mercato dei servizi a pagamento.

Nel merito, l’Antitrust ha censurato più condotte. In primo luogo, le modalità con cui Sky ha comunicato gli aumenti di prezzo agli abbonati. Secondo l’Autorità, le informazioni fornite non erano sufficientemente chiare e trasparenti, lasciando intendere che gli aumenti fossero inevitabili o addirittura parte di condizioni già accettate dai clienti.

Un secondo profilo riguarda le offerte presentate come vantaggiose e stabili nel tempo. In particolare, alcune proposte commerciali, comprese quelle veicolate tramite servizi collegati come NOW, sono state comunicate con formule che facevano credere agli utenti che il prezzo sarebbe rimasto invariato “finché non disdici”, salvo poi subire modifiche unilaterali.

Infine, è stata contestata la gestione delle offerte di retention. A clienti che avevano manifestato l’intenzione di disdire venivano prospettate condizioni migliorative che, in concreto, non sempre si sono riflesse correttamente nelle fatture successive.

Per i consumatori coinvolti, la sanzione dell’Antitrust rappresenta un riconoscimento importante, ma non automatico. Il provvedimento non comporta di per sé il rimborso delle somme pagate in più. Gli utenti possono però utilizzarlo come base per presentare reclami, chiedere il ricalcolo degli importi o valutare azioni individuali e collettive, anche attraverso le associazioni dei consumatori.

Resta però evidente che il percorso per ottenere un ristoro è complesso e spesso scoraggiante, soprattutto quando gli importi contestati sono relativamente contenuti su base mensile.

Ed è qui che emerge il vero problema. Sanzioni da alcuni milioni di euro fanno notizia, ma rischiano di essere del tutto insufficienti per operatori che contano centinaia di migliaia, se non milioni, di abbonati. Un aumento di pochi euro al mese, applicato su larga scala, può generare ricavi ampiamente superiori alla sanzione irrogata.

In questi casi la multa diventa un costo preventivabile, messo a bilancio, e non un reale deterrente. Il rischio è che le pratiche scorrette diventino una strategia economicamente razionale: si incassa subito, si paga eventualmente dopo, e comunque si chiude in attivo.

Se si vuole davvero incidere sui comportamenti delle grandi piattaforme e dei grandi operatori, le sanzioni non possono fermarsi alla multa. Accanto alla sanzione amministrativa dovrebbe essere previsto l’obbligo di restituzione integrale delle somme indebitamente percepite, accompagnato da una penale aggiuntiva.

Solo quando la violazione diventa economicamente sconveniente, e non semplicemente rischiosa, gli atteggiamenti possono cambiare. Il punto, quindi, non è solo quanti milioni sono stati inflitti a Sky, ma quanti milioni Sky ha guadagnato grazie a quelle condotte.

Finché questa domanda resterà senza risposta, il sistema delle tutele continuerà a essere sbilanciato a favore dei grandi operatori. E le sanzioni, per quanto roboanti nei titoli, resteranno poco più che un passaggio obbligato.

 

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