La Commissione Bilancio del Senato ha iniziato la discussione della proposta di legge sugli enti locali, quella che contiene le norme “Salva-Roma” riproposte dopo che il decreto del Governo era stato bocciato dal Quirinale perché in contrasto con le disposizioni dell’art. 77 della Costituzione in materia di necessità e urgenza. A complicare il nuovo percorso è un emendamento dell’ex tesoriere del Pds, il viterbese Ugo Sposetti, con il quale si chiede l’abolizione del Fondo per l’editoria. Certamente unire i problemi degli enti locali (in crisi) con quelli del mondo dell’editoria (in crisi) non è un buon modo di legiferare. Il Parlamento, tuttavia, ci ha abituato ad altri orrori dal punto di vista dei contenuti (vicenda conguaglio mini-Imu) e del linguaggio (la gran parte delle leggi è scritta in un pessimo italiano e per di più con una serie di rimandi che diventano tanti rebus). L’esempio più recente è proprio la “Legge di Stabilità” (la cosiddetta ex Finanziaria), che è una summa di quasi 800 commi e il cosiddetto “Decreto Milleproroghe” (in cui i parlamentari inzuppano tutto). Ora il senatore Sposetti trova visibilità mediatica con una strana presa di posizione anche all’interno del suo partito e del suo mondo di sinistra: con il suo emendamento all’art. 1 della legge sugli enti locali propone di eliminare il comma 261 del complesso provvedimento varato a fatica con due voti di fiducia dai due rami del Parlamento appena un mese fa: cioè il 27 dicembre. Con quel comma si stabilisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria con una dotazione di 120 milioni in 3 anni. Dato che Sposetti è un ex tesoriere che ha gestito i fondi del Partito Democratico dovrebbe ben sapere quante cose si possono fare con 40 milioni di euro all’anno. Una cifra non certamente ragguardevole considerati gli sperperi della politica, i milioni del finanziamento pubblico dei partiti (che dovrebbe cessare solo dopo il 2017) e i rimborsi spese (allegri, facili) di quasi tutti i consiglieri regionali (da Bolzano a Torino, da Milano a Genova, da Roma a Napoli, da Bari a Palermo). L’uscita del senatore Sposetti non poteva passare sotto silenzio per vari motivi. La reazione della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) è stata dura: “Sconcertante e demagogica superficialità”, ha bollato l’iniziativa il presidente della Fnsi, Giovanni Rossi, un bolognese che non è certo un berlusconiano o “amico dei padroni”. Anzi, Giovanni Rossi è subentrato al vertice della Federazione della stampa a febbraio di quest’anno a seguito delle dimissioni di Roberto Natale, che si è presentato alle elezioni con Sel ma essendo stato bocciato dagli elettori è stato nominato portavoce della presidente della Camera Laura Boldrini. Giovanni Rossi vanta una luna carriera nella sinistra sindacale e per anni è stato redattore nella sede bolognese dell’Unità e dell’agenzia Dire.
La sinistra che boccia la sinistra. La dichiarazione di Sposetti “contraria al mantenimento del Fondo per l’editoria – ha precisato Giovanni Rossi – è caratterizzata da una notevole superficialità di approccio ad un tema delicato e da una buona dose di demagogia spicciola. Il settore dell’editoria è un vero e proprio comparto industriale del nostro Paese che dà lavoro a migliaia di persone e reddito alle loro famiglie. È un dovere dello Stato intervenire per rilanciare un settore che vive una crisi gravissima. L’intervento pubblico deve servire a garantire il pluralismo, come prevede la Costituzione, per fortuna ancora in vigore”.